La grave crisi demografica che ha investito l’Italia (e non solo) sta avendo un impatto negativo sull’economia e sulle imprese che producono articoli per l’infanzia. E’ il caso della Peg-Perego di Arcore, in Brianza, azienda nota anche all’estero per la qualità e l’innovatività dei suoi prodotti, che dal 2018 vive una crisi che sembra non avere fine. A marzo 2025 scadranno gli ammortizzatori sociali utilizzabili e, salvo deroghe al momento non sicure, a 104 dei 263 dipendenti saranno consegnate le lettere di licenziamento.
Fondata nel 1949 da Giuseppe Perego (che dopo avere lasciato il posto da disegnatore industriale alla Falk, in occasione della nascita di un figlio confezionò la prima carrozzina da passeggio del marchio), la Peg-Perego è la classica impresa famigliare, figlia di una terra operosa e intraprendente, che con il tempo è cresciuta fino a diventare leader di mercato e ad allargarsi oltre confine, anche negli Stati Uniti e in Sud America.
In questo “paesone” di 17 mila abitanti, noto perché vi ha vissuto Silvio Berlusconi (ma prima ancora perché qui c’era la fabbrica della Gilera, che negli anni ‘50 dominava il motomondiale), la Peg-Perego è un’istituzione perché ha sempre garantito occupazione e sostenuto le realtà filantropiche e associative del territorio. Ma con le culle vuote il futuro è a rischio. E poi c’è anche la feroce concorrenza cinese a creare problemi.
“Il punto è proprio questo – osserva Gloriana Fontana della Fim Cisl Monza, Brianza, Lecco -: i prodotti della Peg sono di ottima qualità, ma sono anche piuttosto costosi. In una situazione come l’attuale, con gli stipendi che non pareggiano nemmeno l’inflazione, le famiglie tendono a risparmiare. E allora se devono comprare un passeggino o un seggiolone, non scelgono il migliore ma quello con il prezzo più basso. E quelli che arrivano da altri Paesi costano meno”.
Le difficoltà dell’azienda sono certificate dai numeri: nel 2021, come ha evidenziato un’inchiesta del quotidiano “la Repubblica”, la Peg-Perego fatturava 135 milioni di euro e guadagnava oltre 5 milioni; nel 2022 il fatturato era sceso a 124 milioni e l’utile a 380 mila euro; lo scorso anno è andato appena sotto i 105 milioni, con una perdita di oltre 3 milioni. I dipendenti oggi lavorano solo 20-24 ore alla settimana, in alcuni momenti le linee produttive sono ferme. Il segmento del giocattolo va meglio di quello degli articoli per la prima infanzia, ma i tempi in cui la pubblicità del Gaucho (un fuoristrada elettrico di grandi dimensioni) impazzava sulle reti televisive nazionali (erano gli anni ’90) sono lontani.
“L’azienda sta ancora investendo – aggiunge Fontana – ma la situazione resta critica. Come sindacato abbiamo chiesto un piano industriale che però non vediamo all’orizzonte. Abbiamo proposto di valutare uno spostamento verso il mercato degli articoli per gli anziani, che è in crescita per ragioni demografiche, oppure verso quello degli animali, ma non abbiamo ricevuto risposte positive. Abbiamo in programma un incontro ad inizio dicembre e speriamo di trovare il modo di ridurre l’impatto dei licenziamenti”.
Il problema è che buona parte del personale in esubero ha un’anzianità lavorativa e anagrafica abbastanza elevata. Sindacati e azienda, in collaborazione con Afol, hanno attivato da tempo dei percorsi mirati di riqualificazione professionale con l’obiettivo di facilitarne l’inserimento in altri ambiti e altre imprese del territorio.
Mauro Cereda