Riapre il cantiere della previdenza. Il lavoro da fare è tanto. Le parti sociali chiedono una riforma strutturale, che forse non sarà possibile in questa legislatura. Ma alcuni temi sono già sul tavolo. A cominciare dal rinnovo dell’Ape sociale e di Opzione donna. Per queste misure che, nelle parole del ministro del Lavoro Andrea Orlando, hanno “ottenuto buoni risultati”, è probabile una proroga. C’è poi il tema più complesso delle future pensioni degli under 50. Secondo un calcolo Inps, con 30 anni di contributi versati e un salario di 9 euro lordi l’ora, un lavoratore potrebbe avere una pensione a 65 anni di circa 750 euro. Per invertire la rotta servirebbero salari più alti, continuità lavorativa e una maggiore diffusione della previdenza complementare. E serve alzare il tasso di occupazione. Tasso che l’anno scorso ha quasi raggiunto il 60%, il valore più alto registrato da sempre, ma che resta lontano dall’obiettivo europeo del 70%. La platea degli assicurati all’Inps (subordinati e autonomi) è giunta alla cifra di 25,683 milioni e, recita il rapporto annuale dell’Istituto, “trainante è stata la crescita dei dipendenti, sia pubblici, sia privati, inclusi i domestici (per effetto della regolarizzazione che è stata attivata nel 2020, con circa 100.000 lavoratori emersi seguito della sanatoria), mentre è stabile, o declinante la consistenza degli operai agricoli” ed è “lenta e continua l’erosione per artigiani, commercianti ed agricoli autonomi”.
Appare chiaro che per cambiare il sistema non basteranno aggiustamenti. I sindacati chiedono una riforma. Una riforma necessaria anche sul fronte fiscale. “Bisogna fare un intervento forte deciso sulla riduzione del cuneo fiscale, per aumentare il netto in busta paga - afferma il leader cislino, Lugi Sbarra - assicurare la piena rivalutazione delle pensioni rispetto all’inflazione, detassare i frutti della contrattazione di secondo livello, sulla produttività, sul welfare, sul lavoro notturno, sulle maggiorazioni”.
La Cisl ribadisce la richiesta, accolta dall’Esecutivo, di un nuovo patto sociale “che metta al centro la qualità del lavoro e il rafforzamento del welfare al servizio delle persone”. Solo rafforzando il sistema contrattuale e promuovendo una nuova politica dei redditi da associare al contrasto al lavoro sommerso, evidenzia il segretario confederale, Ignazio Ganga, “il sistema previdenziale nel suo complesso potrà ottenere benefici duraturi in grado di non pesare sulle future generazioni”. Sul fronte della flessibilità nell’accesso alla pensione, la Cisl ribadisce la contrarietà alle penalizzazioni ipotizzate da Governo e Inps, così come alla riduzione di orario di lavoro negli ultimi anni di attività. Sulla flessibilità in uscita, l’indicazione dei sindacati - messa nero su bianco nella piattaforma unitaria di Cgil, Cisl e Uil - è di “partire dai 62 anni di età o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età”, senza penalizzazioni per chi ha contributi prima del 1996. Una proposta che, per le sigle, avrebbe una garanzia di sostenibilità dal fatto che le future pensioni saranno sempre più liquidate col metodo di calcolo contributivo. I sindacati chiedono inoltre una pensione di garanzia per i giovani, per offrire una prospettiva previdenziale anche a chi fa lavori poveri o discontinui, e ricordano come l’incremento dei requisiti pensionistici operato dalla legge Fornero sia stato “scioccante” per chi svolge lavori gravosi e usuranti. Da qui la richiesta che sia allargata la platea di accesso dell’Ape Sociale e che siano semplificate le procedure di verifica.
Ilaria Storti