Mercoledì 15 gennaio 2025, ore 0:05

La scomparsa di Oliviero Toscani

La visione "profetica" della fotografia

di ELIANA SORMANI

"Non esiste per me una fotografia di pubblicità, di moda, di design, di architettura. Esistono situazioni che mi interessano, che fotografo perché sono un testimone del mio tempo. La fotografia ormai è arte di tutti, appartiene all’espressione moderna dell’umanità. La fotografia ferma, perché è l’unico mezzo, l’unica immagine che ci fa prendere coscienza di dove noi siamo di fronte alla realtà del mondo”. Così Oliviero Toscani, considerato uno dei fotografi più conosciuti del nostro tempo, descrive la sua fotografia, in apertura alla mostra “Oliviero Toscani. Professione fotografo” allestita per omaggiare i suoi ottant’anni di vita all’interno delle stanze principesche di Palazzo Reale con la curatela di Nicolas Ballario e aperta dal 24 giugno al 25 settembre. In un mondo costruito sull’immagine la sua è una fotografia vissuta in primo luogo come mezzo di comunicazione, che spesso ha fatto discutere, e che è stata a suo tempo anche oggetto di censura, ma che oggi è diventata storia, perché come ogni forma di arte “è stata capace di anticipare gli eventi grazie alla visione profetica dell’artista che ha svolto la professione con una onestà intellettuale unica”, come ha dichiarato Domenico Piraina direttore di Palazzo Reale. Figlio d’arte Oliviero Toscani, nato nel 1942 a Milano, è cresciuto fin dai primi anni di vita nel mondo dell’informazione “tra gli odori della carta appena stampata e dell’iposolfito della fotografia”. Mentre i suoi coetanei si divertivano giocando a pallone, come lo stesso dichiara, lui preferiva passare le sue giornate all’interno della redazione del Corriere della Sera accanto al padre Fedele, primo fotoreporter del quotidiano milanese, in un’epoca in cui ancora la sua professione non era riconosciuta come attività giornalistica. Tra il 1961 e il 1965 studia fotografia e grafica all’università delle Arti di Zurigo intraprendendo la professione come un percorso naturale all’interno di un ambiente famigliare immerso nel mondo della fotografia. Anche la sorella Marirosa è infatti considerata una pietra miliare della fotografia del design internazionale (insieme al marito Balla ha fondato uno tra i più prestigiosi studi fotografici specializzato in fotografie di oggetti di design). Intorno agli anni Sessanta, con la diffusione della televisione, Oliviero Toscani capisce che il tipo di fotografia usata dai giornali fino a quel momento inizia ad essere superato, essendo cambiata la percezione dell’immagine con la diffusione di foto di moda e di pubblicità e si avvicina così ad un immagine capace di comunicare la realtà circostante senza filtri, naturale, come espressione delle dinamiche sociali. Con l’evento dei social negli anni Novanta tuttavia anche questo tipo di fotografia entra in crisi e finisce. “La fotografia oggi è diventata il principale strumento di comunicazione di massa. Attraverso le immagini sappiamo chi siamo, dove siamo, qual è la nostra responsabilità sociale”, dichiara lo stesso artista, “oggi non si parla più di qualità di fotografia ma di quantità di immagini pubblicate”. La mostra milanese con le sue oltre 900 fotografie stampate su manifesti (incollate una ad una come fossero figurine) che ricoprono le pareti delle eleganti sale reali come fossero muri di una città ricoperti da un unico murales, riportando idealmente le strade dentro il prestigioso palazzo, racconta l’intero percorso professionale dell’artista attraverso i suoi occhi e con esso gli ultimi sessant’anni della nostra storia. Un vero e proprio fiume in piena che scorre davanti al visitatore riportandolo in un passato recente capace di emozionare e fare pensare. Le immagini, indipendentemente dal loro uso, pubblicitario, commerciale o culturale, si soffermano sempre su tematiche sociali di grande importanza, dal razzismo, alla omofobia, dall’anoressia alla guerra, diventando, oltre che un importante documento di carattere storico, un veicolo fondamentale per far riflettere il grande pubblico su questioni molto dibattute. La mostra si apre con un sguardo sul mondo famigliare del fotografo ricostruito in una prima sala attraverso immagini che ritraggono lui e i suoi cari, grazie ad una parete dedicata agli scatti “storici” del padre, Fedele, da cui lui dichiara di aver ereditato la passione e la dedizione per il mondo del immagine, una dedicata alle foto di design scattate dalla sorella Marirosa, molte delle quali sono ancora oggi punto di riferimento per il design contemporaneo, per finire con una terza parete ricoperta interamente da una gigantografia che ritrae il fotografo con in braccio due dei sui sedici nipotini affiancata da un video racconto della sua carriera. Il proseguo della retrospettiva non segue un ordine cronologico e neppure rigorosamente tematico, proprio perché i temi e gli stili negli scatti di Toscani si intrecciano e si sovrappongono continuamente rendendo difficile classificare anche per generi omogenei le sue fotografie. Numerose sono le pareti occupate da immagini (tutte meticolosamente contestualizzate) che a suo tempo hanno fatto scalpore, a partire dalla prima pubblicità scandalo pubblicata nel 1973 con il primissimo piano del fondo schiena di Donna Jordan che indossa i Jeans della marca Jesus con sovrascritto lo slogan “Chi mi ama mi segua”. Una fotografia usata per pubblicizzare il prodotto che fece il giro del mondo suscitando ampie polemiche per la sua vena ironica, considerata irriverente e provocatoria, che tuttavia introdusse un nuovo modo di fare pubblicità portando contemporaneamente alla luce temi (come la rivoluzione giovanile e sessuale in atto in quegli anni) che diversamente non avrebbero potuto diventare oggetto di pubblica discussione. “Il mercato mi dà lo spazio e i mezzi per dire qualcosa che devo dire e che voglio rendere pubblico. Io non faccio le foto per me per me ho gli occhi. Se faccio le foto è per pubblicarle” dichiara l’artista e la pubblicità per lui diviene così un mezzo per comunicare e affrontare tematiche di carattere sociale e culturale importanti, arrivando contemporaneamente nello stesso istante in ogni parte del mondo, a differenza di uno scatto esclusivamente legato al mondo editoriale o alla carta stampata, vincolato dall’esclusiva. I suoi scatti pubblicitari creativi e rivoluzionari negli anni Settanta si moltiplicano grazie anche alla collaborazione con importanti riviste e marchi, da Vogue a Elle, da Missoni a Valentino, Armani, Prenatal, a Chanell fino ad approdare al sodalizio professionale ed umano con Elio Fiorucci con il quale detterà nuove regole per il mondo della moda attraverso anche un nuovo stile pubblicitario, fresco e vicino alla gente, ricorrendo non solo a modelle o modelli lontani ma sempre più spesso a ragazzi e ragazze “che incarnano lo spirito del tempo”. Un’ altra grande svolta nella sua attività professionale avviene nel 1982 quando inizia la collaborazione con Luciano Benetton, con il quale fonderà il notissimo marchio “United Colors of Benetton” con il famoso rettangolino verde presente su tutte le sue fotografie legate all’azienda che scuoteranno le coscienze di tutto il mondo, entrando nella storia della comunicazione di massa non solo per promuovere dei prodotti ma anche e soprattutto per far riflettere l’opinione pubblica. Oliviero Toscani ha l’occasione così di parlare di razzismo contro stereotipi di ogni genere, della fame del mondo, di Aids, di guerra, di violenza, di emigrazione. Iconiche sono rimaste le immagini di bambini appartenenti ad etnie diverse ritratti insieme, o i tre cuori umani con le scritte White, Black e Yellow espressione della sua lotta contro il razzismo, così come il bacio scambiato tra un prete e una suora, inno all’amore universale senza differenza tra amore sacro e amore profano, a cui è dedicata un’intera parete della mostra milanese, così come “Angelo e diavolo”, icona anche della mostra, in cui un bambino di colore nero dalle sembianze diaboliche è affiancato da un bambino biondo dalle sembianze angeliche, sottolineando ancora una volta l’assurda stereotipizzazione relativamente al tema della diversità in cui l’uomo spesso cade. Non bisogna infine dimenticare la sua battaglia contro l’anoressia, quando nel 2007 in occasione della settimana della moda a Milano apre la sua campagna pubblicitaria per conto della Nolita (casa di abbigliamento del gruppo Flash&Partners), con un manifesto di una ragazza anoressica completamente nuda con gli evidenti segni della malattia, denunciando implicitamente le case di abbigliamento che sfruttano la magrezza, usando i corpi femminili come fossero manichini. Nella mostra milanese questa fotografia che occupa un’intera parete, per essere ancora più provocatoria è affiancata da immagini riprese da un reportage svolto da Toscani nei paesi più poveri dell’Africa in cui i soggetti sono bambini scavati nella loro magrezza dalla fame. Nel 2000 il sodalizio con Benetton si interrompe temporaneamente, dopo un’ultima campagna pubblicitaria negli Stati Unici che dà l’occasione a Toscani di urlare contro la pena di morte, provocando non solo scalpore, ma una vera e propria opera di boicottaggio da parte dei negozi. Riprenderà a lavorare con il gruppo Benetton nel 2017 come direttore del progetto Fabrica (fondato insieme a Luciano Benetton nel 1994), un centro di ricerca sulla creatività per permettere la sperimentazione a giovani di tutto il mondo, nell’ottica delle differenze come simbolo, tanto da usare come copertina il viso di un africano con due occhi diversi. Immagine che colpirà tanto David Bowie da ispirargli la composizione di Black Tie, White Noise. Con Benetton Toscani aveva già fondato nel 1991 anche la rivista Colors, il primo grande giornale, il primo magazine veramente globale fondato su una regola bene precisa: no vip e no news, in cui vengono trattati temi svariati, dalla guerra ai giocattoli, dalla mamma a Dio, dal fumo alla razza.

Numerose in mostra sono anche le immagini di volti noti del mondo cinematografico, musicale e culturale mondiale, personaggi con cui l’artista si è confrontato e con cui spesso ha costruito rapporti di duratura amicizia come nel caso di Andy Warhol che ha fatto spesso da modello a Toscani (indimenticabile e surreale è ad esempio la pubblicità in cui viene coinvolto l’artista per la Polaroid) e con cui è rimasto amico fino alla morte.

La mostra si chiude con uno dei progetti più interessanti dal punto di vista antropologico e socio politico di Oliviero Toscani risalente al 2007 dal titolo “Razza Umana”, con il quale ha girato tutto il mondo ritraendo persone nelle piazze e nelle strade, mettendo in piedi veri e propri studi fotografici all’aperto, con lo scopo di mostrare la morfologia degli esseri umani per capire le differenze in un mondo dominato dall’omologazione e dalla globalizzazione.

Un mondo, quello che ci presentano le immagini di Oliviero Toscani, che oggi è storia, la nostra storia, vista attraverso lo sguardo acuto di un artista che ha saputo dare vita ad un nuovo modo di far fotografia, un vero e proprio “beginner” come lo definisce il curatore della mostra ricordando che non a caso “Beginners” di Walt Whitman, è anche il titolo di una delle poesie più amate da Oliviero Toscani. Un artista che con aria scanzonata si è sempre fatto beffa (proprio come la linguaccia protagonista di uno dei suoi più famosi scatti) delle critiche, riuscendo a portare alla ribalta nella nostra società, anche anticipandoli, temi di grande attualità, introducendo un nuovo linguaggio e nuovi percorsi nel mondo della fotografia a cui intere generazioni si sono e si stanno ancora continuamente ispirando.

( 13 gennaio 2025 )

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