Venerdì 22 novembre 2024, ore 6:56

Europa 

Tempi stretti per il nuovo Patto Ue ma Berlino frena la riforma 

A Bruxelles torna nel vivo l'attività sulla riforma del Patto di stabilità, con la ripresa dei tavoli tecnici dopo la pausa estiva. Ieri sono tornati a riunirsi nel format del Gruppo dei consiglieri finanziari gli esperti delle rappresentanze diplomatiche dei Ventisette. Per la prima volta affronteranno il testo della modifica proposta alla direttiva del 2011 sui requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri (la riforma del Patto include anche due regolamenti del 1997). Però sembra chiaro a tutti che il lavoro dei tecnici continua a concentrarsi sulle parti meno controverse, in attesa che vengano sciolti a livello politico i nodi più complicati, in particolare quelli relativi al 'braccio preventivo' del Patto. Quella parte della governance economica Ue per garantire politiche di bilancio sostenibili dando agli Stati obiettivi a medio termine. Il confronto politico, quello vero, potrebbe entrare invece nel vivo al consiglio dei ministri dell'Economia a Santiago di Compostela, convocato dalla presidenza di turno spagnola per il 15 e 16 settembre.

Certo abbastanza tardi. Le discussioni sulla riforma del Patto di stabilità mettono al centro la sola questione delle risorse, lasciando da parte il benessere collettivo. Bloccate dall’era della pandemia, le politiche pro-cicliche che impongono sacrifici di bilancio anche in tempi di crisi, rischiano infatti di rientrare dalla porta principale se da qui a fine dicembre non ci sarà modo di ammorbidire le regole con cui l’Ue indirizza le finanze pubbliche. L’Italia, non è una novità, arriva al rush finale con la coperta già corta, tanto sono scarse le risorse da destinare nella manovra a misure espansive o di contenimento dei prezzi. Ma sarebbe una grosso problema se il Patto tornasse al formato originale che impone l’abbattimento, ogni 12 mesi, di un ventesimo del debito che eccede il 60% del Pil. Una cosa insostenibile per molti analisti. In pratica, si tratterebbe di oltre 50 miliardi l’anno: una cifra difficile da reperire, almeno sulla carta.

Anche perché sulla quadra di bilancio peserà sia il deterioramento della congiuntura sia i rialzi dei tassi decisi dalla Bce. La politica monetaria di Christine Lagarde, che dal luglio ’22 ha fatto salire di 4,25 punti base il costo del denaro, sarebbe costata 17 miliardi. Un motivo più che valido per il governo Meloni di puntare, attraverso la proposta del ministro del Tesoro, Giancarlo Giorgetti, a una rivisitazione più soft del Patto. Con il consenso politico di Francia e Spagna, Roma chiede di non calcolare nel computo del deficit gli investimenti sostenuti per la transizione ecologica, il digitale e la difesa.

La Germania non solo non vuole saperne ma si è anche opposta alla proposta della Commissione che prevede un taglio annuo del deficit di almeno lo 0,5% del Pil e l’estensione a sette anni del piano di rientro dal debito in caso di investimenti strategici. Berlino potrebbe però ammorbidire la propria posizione se ottenesse in cambio qualche apertura sul fronte degli aiuti di Stato, necessari per "aiutare" i settori in crisi come l’edilizia. Ma i tempi sono sempre più stretti.

Rodolfo Ricci

( 29 agosto 2023 )

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