Giovedì 21 novembre 2024, ore 10:09

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Dubuffet e il movimento dell’ArtBrut

di ELIANA SORMANI

"La vera arte è sempre là dove uno non se l’aspetta. Là dove nessuno pensa a lei né pronuncia il suo nome. L’arte detesta essere riconosciuta e salutata col suo nome. Subito fugge via. L’arte è un personaggio invaghito d’incognito. Non appena qualcuno la svela e l’ad dita scappa via lasciando sul posto una comparsa laureata che porta sul dorso un grande cartello con scritto ARTE”. Così dichiarava Jean Dubuffet in un testo pubblicato nel 1949 nel catalogo “Art Brut prefere aux arts culturals” relativo ad una mostra omonima organizzata a Parigi alla Galleria Renè Drouin dalla Compagnie de l’Art Brut. In fondo egli, riconosciuto come padre fondatore e teorico dell’Art Brut, afferma che “ognuno è un pittore”, a modo proprio al di là dell’applicazione dei canoni artistici di carattere accademico che inevitabilmente conducono ad un “arte culturale”, che tuttavia non coincide con un concetto assoluto di arte, poiché esclude l’arte degli outsider, di quegli artisti non professionisti e autodidatti, spesso prodotta da coloro che vivono ai margini della società, che raccontano nelle loro opere di sé e del mondo che li circonda, appellandosi alla fantasia e all’immagi nazione, andando oltre le convenzioni. Proprio intorno a questi artisti e alle loro opere Dubuffet dà vita al movimento dell’Art Brut, andando personalmente alla ricerca e collezionando le opere, appartenenti a generi diversi, di questi artisti esclusi dall’arte ufficiale, creatori di un’arte pura, grezza, non filtrata, che nasce dal desiderio di esprimersi in modo libero e non convenzionale. Con un ossimoro, che nell’an titesi tra due termini opposti “Arte” e “Brutto” dà origine alla definizione indistinguibile di “Art Brut”, egli chiarisce che intende riconoscere in essa tutte quelle opere “eseguite da persone prive di cultura artistica che attingono dal loro background e non dai cliché dell’arte classica o dell’arte à mode”.

A “Dubuffet e all’Art Brut. L’arte degli outsider” il Mudec (Museo delle Culture) di Milano dedica dal 12 ottobre al 16 febbraio 2025 una ricca e coinvolgente mostra in cui il percorso artistico del pittore francese si intreccia con le opere dei principali esponenti dell’Art Brut, in parte collezionate personalmente da lui e poi donate nel 1971 alla Collection de l’Art Brut di Losanna e in parte provenienti da 5 diversi continenti raccolte sempre all’interno del Museo di Losanna, che, nato dalla storica raccolta di Dubuffet ed inaugurato nel 1976, oggi ha raggiunto la straordinaria cifra di ben 70.000 opere. La mostra curata da Sarah Lombardi e Anic Zanzi e da Baptiste Brun (per la parte dedicata a Debuffet) è divisa in quattro sezioni, di cui una prima introduttiva, composta da 18 opere di Dubuffet (disegni, sculture, dipinti) composte tra il 1947 e il 1982, arricchite da un apparato documendiaristico, formato da libri, cataloghi, lettere, fotografie e manifesti che testimoniano il suo lavoro nello scovare opere e autori di Art Brut, documenti funzionali ad introdurre una seconda sezione in cui invece sono esposte le opere di alcuni di questi outsider autodidatti accompagnate da un approfondito apparato didascalico che permette di conoscerli biograficamente mettendoli in relazione con le loro composizioni. La terza e la quarta sezione della mostra, più vicine alla mission multiculturale del Mudec, sono invece dedicate ad autori provenienti da cinque continenti diversi le cui composizioni di Art Brut sono incentrate intorno ai temi del “corpo” e della “credenza”. L’allesti mento, accompagnato da un interessante catalogo edito da 24Ore Cultura, produttore della mostra insieme al comune di Milano con il patrocinio del Consolato Generale Svizzero a Milano e la collaborazione con la Collection de l’Art Brut di Losanna, si pone come obiettivo quello di far conoscere al pubblico, in particolare italiano, questo movimento e i loro esponenti, ancora purtroppo troppo poco conosciuti, la cui rivoluzionaria potenza espressiva è considerata tutt’oggi un punto di riferimento per molti artisti contemporanei. Come dichiara Tommaso Sacchi, assessore alla cultura di Milano “Jean Debuffet nel 1942, in una Francia dilaniata dalla guerra e dalla fame ha un’epifania: dare dignità a quell’arte che nasce dall’i stinto e non è contaminata dalle regole”. Lui, che era pittore, scultore, scrittore e musicista “colto”, diviene così per oltre trent’anni un appassionato ricercatore e collezionista di lavori creati al di fuori della cerchia artistica ufficiale, dando vita ad una raccolta formata da circa 5000 opere (riunite tra il 1945 e il 1970) prodotte da persone ricoverate negli ospedali psichiatrici, da detenuti, da emarginati, solitari e reietti, nelle forme più disparate possibili, non solo di carattere pittorico, ma anche sculture, tessiture, mosaici, collage e tanto altro, accomunate dalla libera creatività e indipendenza da ogni convenzione artistica. Nato nel 1901 a Le Havre, dopo aver frequentato l’accademia di arte locale, nel 1918 Dubuffet si trasferisce a Parigi, dove, tuttavia, dopo aver seguito i corsi per soli sei mesi presso l’Accade mia d’arte Julien, abbandona gli studi e inizia a praticare l’arte, conducendo una vita bohemein che lo conduce ad allacciare rapporti con importanti personalità artistiche del tempo, come Andrè Masson, Fernand Léger e poeti come Georges Limbour e Michel Leiris. Interessato al quotidiano inizia un percorso di ricerca personale e artistica affascinato dall’arte primitiva e dai disegni per bambini, così come dalle opere grafiche dei malati di mente. Dopo aver viaggiato in Italia e in Sud America, tra il 1923 e il 1924, poco convinto del proprio talento artistico, si dedica per circa venti anni all’attività vinicola della famiglia senza tuttavia smettere di dipingere in privato e continuando a frequentare musei e artisti. La svolta artistica per Dubuffet avviene nel 1942 quando decide di ritornare alla pittura come attività principale lasciando l’azienda di famiglia che gli aveva permesso di guadagnare a sufficienza per poter vivere di rendita. Le sue opere, lontane da ogni accademismo, nell’atmo sfera cupa della guerra portano una ventata di ottimismo, grazie all’uso di disegni e colori vivaci tanto da venir apprezzate dalle avanguardie parigine da figure come Le Corbusier, Jean Paulhan, Paul Eluard e tanti altri ancora. Nel 1944 allestisce la sua prima mostra personale presentando opere molto vicine alla pittura di Paul Klee, di Kandiskij e di Mirò, mostrando un certo interesse verso le opere realizzate dai bambini. Nel 1945 conia il termine “Art Brut” e inizia a dedicare il suo tempo a cercare nuovi e talentuosi suoi autori, fino ad arrivare a fondare nel 1947 insieme a Breton, Paulhan e Drouin la compagnia dell’Art Brut, lasciando da parte la sua attività pittorica, spesso oggetto di critiche e non da tutti apprezzata. La sua attività di collezionista lo tiene impegnato molto, non solo nella fase di ricerca, ma anche in quella di catalogazione e raccolta documentaristica (come si può notare dalla raccolta di fotografie, album, immagini e scritti presenti in alcune bacheche della mostra), coinvolgendo nelle sue analisi, antropologi, etnologi, studiosi di folklore, psichiatri, mercanti, collezionisti, artisti e scrittori, a volte non senza polemiche e critiche nei suoi confronti. Nella prima sezione della mostra, accanto alla ricca documentazione che lo porterà ad allontanare l’Art Brut da un concetto di “arte primitiva” e di “arte degl’insani”, viene presentato un panorama della sua quarantennale attività di artista attraverso 18 opere molto diverse tra di loro, da Le Geologue a Texturologies, da Materiologies alla serie Paris Circus, dal ciclo l’Hourlope fino a Site populeux, in cui facendo propria la cultura del paradosso e all’in segna dello spiazzamento, senza farsi imprigionare in regole prestabilite, passa da un materialismo manifesto ad un’alta concettualità, in cui astrazione e matericità convivono e si alternano continuamente, dando vita ad una produzione fortemente eterogenea in cui l’Art Brut assume la funzione di orizzonte della vera creazione, in uno scambio reciproco di influenze tra il suo modo di fare arte e le opere degli outsider, senza permettere che l’arte degli uni assimili quella degli altri, come si può notare nella seconda sezione della mostra, dedicata ad alcuni dei più importanti esponenti di questo movimento. Qui, in uno spazio labirintico, sono disposte una serie di opere appartenenti al nucleo storico della collezione di Dubuffet, accompagnate dalle notizie biografiche dei più famosi esponenti dell’Art Brut, a partire da Aloise Corbaz, che internata in un ospedale psichiatrico inizia a disegnare e a scrivere segretamente usando materiali insoliti come succhi di petali di fiori, foglie essiccate, materiale da riciclo, creando dipinti animati da principesse e mondi fiabeschi frutto della sua immaginazione, a Carlo Zinelli, che ricoverato per schizofrenia inizia a produrre opere dopo che un medico lo vede incidere grafiti sulle pareti e lo invita a partecipare al laboratorio artistico dell’o -spedale, dove trascorrerà 8 ore al giorno a dipingere producendo 900 opere (quasi 2000 se si tiene conto anche dei recto/verso), caratterizzate dalla presenza di figure umane stilizzate spesso ripetute in serie su sfondi che richiamano i colori della terra; Gaston Dufour, che, a sua volta internato in un ospedale psichiatrico, accede alla pittura ufficialmente dopo che un medico gli trova nascosti nei vestiti diversi disegni realizzati a grafite. Fornito di colori darà vita a dei personaggi simili a Pulcinella dai molteplici colori e ad un ricorrente animale proteiforme che egli chiamerà “rinoce ronte”; e ancora, Emile Ratier, artista cieco che desideroso di vedere in modo alternativo crea sculture mobili animate da manovelle e meccanismi sonori scolpite in legno. Il visitatore ha in questo spazio l’opportunità di entrare a contatto con lavori che spaziano per generi, materiali e stili in ogni campo possibile ed immaginabile. La terza sezione della mostra è dedicata invece al tema del corpo, tema ricorrente nell’arte occidentale dalle sue origine a oggi e ugualmente presente nelle altre culture e nell’Art Brut. Il corpo viene percepito in modo spesso immaginario e anticonvenzionale come proiezione del proprio malessere o dei propri desideri. Diverse opere esposte sono le medesime rappresentate nella collezione dell’Art Brut del 2017 in occasione della Biennale dell’Art Brut. La mostra si conclude con un’ultima sezione dedicata alle credenze intese come adesione ad un’idea, filosofia, pensiero o religione.

Un mondo spirituale a cui aggrapparsi spesso per poter sopravvivere, in cui emerge il valore terapeutico dell’arte, sia per chi la pratica come per chi la osserva. Un mondo in cui l’arte diviene un modo sicuramente offerto agli autori per rimanere legati alla realtà e per superare il malessere e le frustrazioni che vivono. Le opere in questa sezione non possono essere dissociate dalle storie dei loro autori e sono organizzate secondo tre assi tematici: opere legate alla religione, ai cosiddetti lavori spiritistici e quelle nate da mitologie personali. Il percorso della mostra dalle prime alle ultime opere è affascinante e coinvolgente, colorato e multiforme, unico e speciale proprio per l’eterogeneità e la singolarità degli autori in esso presenti, che con le loro opere non convenzionali invitano a riflettere non solo sul valore dell’arte più pura e radicale e sul significato della bellezza, ma sul senso della vita e sul valore che essa può avere nonostante le barriere psicologiche e fisiche con cui spesso l’uomo è costretto a confrontarsi, trovando nell’arte una delle forme più importanti di resilienza utile non solo per sé ma anche per chi ha la fortuna di poterne gustare visivamente i suoi prodotti.

Jean Dubuffet e l’Art Brut. L’ arte degli outsider, Mudec-Milano, fino al 16 febbraio 2025.

( 18 novembre 2024 )

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