Ripresa post-pandemica e debito comune, il futuro degli eurobond rischia di essere segnato e non nel senso buono. Perché adesso i nodi di uno strumento senza precedenti e comunque giustificato da uno spegnimento generalizzato dell’economia a causa della diffusione del Coronavirus, iniziano a venire al pettine con tutte le implicazioni politiche del caso. Complici interessi più alti del previsto, ripagare i titoli di debito Ue sarà molto costoso, e questo inciderà sugli umori dei Paesi cosiddetti frugali, quelli tradizionalmente poco inclini a impegnare risorse. Come fanno notare gli addetti ai lavori del Parlamento europeo nel documento di lavoro sull’agenda per il 2025, il dibattito sul nuovo bilancio pluriennale dell’Ue si annuncia complicato. I Ventisette dovranno tenere conto di nuove necessità, tra queste il pagamento dei titolo di debito comune. Il rimborso del capitale relativo al programma NextGenerationEU dovrebbe iniziare nel 2028 e durerà 30 anni. E a causa di tassi di interesse più alti del previsto, il costo è aumentato bruscamente nell’attuale periodo finanziario, si avverte.
Non c’è solo il denaro prestato, ma pure l’interesse. Secondo stime preliminari il costo totale per il periodo 2028-2034, che comprende sia il capitale che i tassi di interesse, è ora stimato tra 140 miliardi di euro e 168 miliardi di euro (prezzi correnti), a seconda che il rimborso venga ripartito con un importo annuo uguale o con una quota uguale del reddito nazionale lordo (Rnl).
Il periodo 2028-2034 è il periodo coperto dal prossimo bilancio pluriennale dell’Ue, per cui la Commissione europea dovrebbe produrre una prima proposta entro l’1 luglio di quest’anno. Nella proposta si dovrà tenere conto delle nuove necessità. Questo implica nuovi programmi e nuove aree di finanziamento, a partire dalla difesa, incluse le nuove realtà quali per l’appunto il rimborso degli eurobond post-pandemici. Il rimborso di titoli di debito comune impone agli Stati membri di attingere ai propri bilanci nazionali. Una spesa pubblica che ben poco si sposa con l’approccio rigorista tipica soprattutto degli Stati membri del nord Europa. Eurobond per la difesa, indietro tutta. Adesso gli Stati membri dell’Ue ci ripensano, a cominciare dalla Germania che si sfila da un’idea che sembrava farsi concreta non più tardi di un mese fa. "Dovremmo concentrarci di più sulle idee, sulle cose da fare. Pensiamo che sia meglio delle discussioni astratte sugli Eurobond per il finanziamento della difesa", ha tagliato corto il ministro delle Finanze tedesco, Jorg Kukies, durante i lavori a Bruxelles dell’ ultimo eurugruppo.
Neppure aumentare la linea di credito dell’Ue per il finanziamento e il sostegno a politiche di settore e settore appare una buona idea per il ministro di Berlino. "Abbiamo la Banca europea per gli investimenti (Bei), e lo Strumento per la pace, esempi concreti" di come investire nella sicurezza e nella difesa. La Germania dunque frena, e non poco, su nuovi strumenti di debito comune per finanziare quella che comunque è avvertita coma la nuova sfida e la necessità di questa legislatura europea. Una chiusura che inevitabilmente si ripercuote sull’agenda dei lavori a dodici stelle, a cui si aggiungono i veti olandesi.
"Ho visto molte idee diverse su questo tema, ma non ho visto alcuna proposta concreta", taglia corto Eelco Heinen, ministro delle Finanze dei Paesi Bassi, anche lui interrogato sulla questione eurobond e su cui spende questa frase, secca ma chiara, che lascia intendere come per il governo del suo Paese la questione non si ponga.
Rodolfo Ricci