Anticipare al 2025 la clausola di revisione delle norme europee sulle auto e rivedere il divieto sui motori a combustione interna, diesel e benzina, previsto per il 2035 per "riflettere il principio di neutralità tecnologica", ovvero consentire nella transizione un mix di tecnologie più ampio del solo elettrico, compresi i biocarburanti. Nel pieno della crisi automotive e dell'avvio del nuovo mandato, il Ppe è al lavoro su un position paper sulla competitività dell'industria delle auto in Europa per porre fine alla "pressione senza precedenti" a cui è sottoposta l'industria automobilistica europea. A quanto si apprende, il documento - che attualmente conta sei pagine ma è ancora suscettibile a modifiche - dovrebbe essere approvato dal gruppo la prossima settimana in vista della presentazione da parte del nuovo esecutivo Ue del 'Piano per l'industria pulita' promesso nei primi cento giorni del nuovo mandato.
Il gruppo - famiglia politica di Ursula von der Leyen - di fatto sposa molte delle richieste avanzate negli ultimi mesi a Bruxelles dall'Italia per anticipare all'inizio del prossimo anno la revisione del regolamento (oggi prevista al 2026) che dal 2035 imporrà un divieto di immatricolare motori a combustione interna, diesel e benzina. La "revisione urgente" richiesta dal Ppe dovrebbe essere finalizzata a garantire un approccio tecnologicamente neutrale e riconoscere il ruolo di tutte le tecnologie nel raggiungimento delle riduzioni di CO2, compresi "carburanti alternativi, e-fuels e biocarburanti", si legge nel documento.
Poi c’è la questione "cinese". Aggirare i dazi europei sulle auto per vendere in Turchia e, tramite l’accordo doganale Ue-Turchia che permette lo scambio di beni senza tariffe, piazzare i prodotti ‘made in China’ nel mercato unico. E’ a quello su cui, silenziosamente, starebbe già lavorando Pechino, per manovre che inquietano le istituzioni comunitarie. La guerra commerciale innescata con la decisione della Commissione europea di imporre dazi sulle auto elettriche cinesi, ora definitivi, per la Repubblica popolare sembra giocarsi su un doppio tavolo: quello giuridico (Organizzazione mondiale del commercio, Wto), e quello dell’aggiramento. Nello specifico si ritiene che Chery, attraverso l’aumento di produzione in Turchia, riesca ad evitare i dazi già imposti dall’Unione europea per gli stessi prodotti venduti dalla Cina. Si tratta di sovraccosti tra il 17 e il 21,3% rispetto al prezzo di vendita sul mercato, che si aggiunge ad un dazio pre-esistente del 10%. Si pone dunque la questione di un corretto uso di accordo di unione doganale Ue-Turchia.
A Bruxelles sembrano essere consapevoli di tutto questo, anche se le manovre silenziose della Cina non hanno prodotto ancora effetti tali da offrire né appigli né opportunità per reagire. "In questa fase è troppo presto per valutare se tali investimenti possano avere un impatto sulla competitività dell’industria automobilistica europea", ammette Valdis Dombrovskis, nella risposta offerta nella veste di commissario uscente per il Commercio. Alla luce di una situazione poco chiara e definita, dunque, "sarebbe prematuro formulare ipotesi su possibili misure da adottare". Ciò non toglie che l’Ue non resterà a guardare.
Spetterà alla nuova Commissione europea gestire le delicate relazioni con la Repubblica popolare cinese, e Dombrovskis farà parte di questa nuova legislatura europea. La linea non cambia: economia aperta, ma tutela degli interessi europei. Per questo, assicura ancora Dombrovskis, la Commissione monitorerà attentamente la situazione e, se necessario, adotterà misure appropriate a far sì che l’industria continui a essere competitiva e che le norme e gli standard pertinenti siano rispettati.
Rodolfo Ricci