Di un grande protagonista di un Novecento letterario che non c’è più come Walter Pedullà molti ricorderanno anzitutto gli anni della presidenza alla Rai, dal febbraio 1992 al luglio 1993, dopo esserne stato a lungo, a partire dal ’77, consigliere di amministrazione. Ma di lui, che se n’è andato a 94 anni al culmine di una lunga e dura malattia contro il morbo di Parkinson, dopo averne trascorsi tantissimi, dal 1958 al 2005 (anno in cui è diventato professore emerito), a insegnare tra le aule dell’università capitolina “La Sapienza” letteratura italiana moderna e contemporanea, andrebbe ricordato il suo impegno attraverso le numerose opere scritte e il prolifico lavoro di critico letterario (è stato, tra l’altro, giornalista professionista dal 1962) svolto per giornali come l’“Avanti!” (dal 1961 al 1993), “l’Unità”, “Italia Oggi”, “Il Mattino” e per aver fondato e diretto due autorevoli riviste culturali, “L’Illuminista” e “Il Caffè illustrato”.
"Una Guida straordinaria”, “una Intelligenza superiore”, ha sostenuto lo scrittore Andrea Di Consoli su Facebook nel dare la notizia della sua scomparsa, esortando proprio a “leggere le sue opere”.
Natali calabresi (era nato il 10 ottobre 1930 a Siderno, cittadina sul mare in provincia di Reggio Calabria), Pedullà aveva abbracciato un socialismo “che mi è sempre sembrato – ha scritto nel 2021 Alfonso Berardinelli su ‘Il Foglio’ – che includesse la letteratura: era una forma di fedeltà culturale a quel tipo di sinistra eclettica e flessibile che non prevede di far tacere gli intellettuali perché hanno meno potere dei politici. Nel Partito socialista italiano il marxismo non era la Bibbia e i suoi intellettuali hanno sempre dimostrato una vivacità e libertà di pensiero che nel Partito comunista era difficile trovare. Molti credono che si fanno cose serie solo facendo la faccia seria: Walter ha sempre mostrato di fare sul serio scherzando”. Ed ha vissuto la maggior parte della sua vita nella capitale (è stato, tra l’altro, direttore del Teatro di Roma dal 1995 al 2001), dove non ha mai nascosto la sua passione per autori novecenteschi dalla grande personalità, basti pensare ad Alvaro, Debenedetti, di cui era stato allievo e assistente e da lui definito in una monografia del 2015 “interprete dell’invisibile”, D’Arrigo (di cui ha curato l’edizione delle opere in cinque volumi), Gadda, Malerba (sua la cura dell’antologia degli scritti), Palazzeschi, Pizzuto e Savinio. E dove ha scritto saggi sugli argomenti più caldi della sua epoca, dal futurismo alla neoavanguardia fino alla questione meridionale.
Animatore culturale e autore di testi di saggistica letteraria, fondò con Pagliarani, Malerba, Giorgio Manganelli e Angelo Guglielmi la Cooperativa Scrittori, di cui divenne vicepresidente, ha diretto con Nino Borsellino la “Storia generale della letteratura italiana” in dodici volumi, edita nel 1999 da Rizzoli e Motta e, per l’Istituto Poligrafico dello Stato, la collana di classici “Cento libri per mille anni”, di cui due curati da lui: uno su Italo Svevo, un altro su narratori e prosatori del Novecento, e due in collaborazione con altri, uno sul saggio del Novecento e uno sulla poesia e il teatro della stessa epoca.
Cavaliere di Gran Croce della Repubblica italiana per meriti culturali, presidente o membro delle giurie di diversi premi letterari (Strega, Viareggio, Campiello, Mondello e altri), direttore della casa editrice Lerici, ha vinto tra gli altri i premi Vittorini, Borgese, Giusti, Locri, Melfi, Adelphi, Regium Juli, Siderno, Cortina, Montesilvano ed ha ricevuto il riconoscimento speciale di letteratura in occasione dei Premi Flaiano 2021 per il libro “Il pallone di stoffa. Memorie di un nonagenario” (Rizzoli, 2020). Proprio quest’ultimo lavoro, insieme alla sua autointervista-autobiografia letteraria “Giro di vita. Autobiografia di un intellettuale” del 2011 (Manni Editori), rappresenta probabilmente la sua confessione, il suo testamento, in cui rivelava liberamente se stesso.
Tuttavia, per comprenderne bene il suo valore e soprattutto la sua influenza nella cultura italiana, bisognerebbe riesaminare approfonditamente l’intera sua opera, a partire dal libro “I maestri del racconto italiano”, antologia scritta nell'ormai lontano 1964 in collaborazione con Elio Pagliarani. Un saggista, un letterato, ma anche un dirigente “con una visione ‘alta’ del ruolo della Rai, al cui servizio ha sempre messo il proprio sapere e la propria esperienza”, come hanno sostenuto l’amministratore delegato, Giampaolo Rossi, e il Cda della Rai ricordando il loro ex presidente.