Lunedì 8 luglio 2024, ore 11:25

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Via Po Cultura

C’è dama Beatrice Luttrell, nobildonna inglese, che nel 1350, insieme alla domestica Giovanna e allo stalliere Enrico, decide di andare in pellegrinaggio a Roma, in occasione del Giubileo, per ringraziare il Signore di essere scampata all’epidemia di peste e chiedergli la grazia di restare incinta. C’è Enrico di Bolingbroke, conte di Derby, che qualche anno dopo si prepara a partire alla volta della Barberia per andare a convertire il popolo delle lunghe barbe (i Saraceni) o, più probabilmente, per sfuggire alla vendetta di suo cugino, re Riccardo II, contro cui si era rivoltato. C’è frate Thomas Dane, che nel 1440, si appresta a lasciare il priorato della Santissima Trinità di Aldgate, per intraprendere il viaggio di una vita, quello che dovrà portarlo fino a Gerusalemme. L’aristocratica, il cavaliere, il religioso sono solo alcuni dei personaggi che si incontrano fra le pagine di “Viaggiare nel Medioevo” (Hoepli), un affascinante e documentato libro scritto da Anthony Bale, professore di Medieval Studies alla Birkbeck University di Londra. Le mie fonti – scrive Bale – sono i giornali e le cronache dei viaggiatori stessi. Il lettore incontrerà un’ampia gamma di viandanti. Nel testo descrivo il mondo come lo pensavano i medievali, evocando luoghi di cui spesso si è scritto ma in cui non per forza si andava. La cronaca di viaggio medievale è un genere letterario che ne contempla molti: l’autobiografia, la descrizione della natura, l’enciclopedismo, la confessione, la storia, la diaristica. Spesso queste opere contengono una certa dose di egocentrismo, oltre al fatto che vi appaiono errori e vi si descrivono creature fantastiche (formiche grandi come cani, donne con gemme al posto degli occhi, grifoni per metà aquila e per metà leone) e luoghi (la Fonte della giovinezza, l’isola delle Amazzoni, persino il Paradiso terrestre), di cui molto si è sentito dire ma che nessuno ha mai visto né visitato. Nel Medioevo viaggiare significava muoversi fra il reale e il fantastico”. Il libro è un excursus nel tempo, un viaggio nei viaggi, quasi una guida Lonely Planet del mondo fra Trecento e Quattrocento. Il lettore incontrerà pellegrini, commercianti, spie e santi; seguirà le tracce di chi, sfidando ogni genere di pericoli, via terra o via acqua, si sposta tra mete reali e conosciute e altre di fantasia; apprenderà di usi, costumi, abitudini, culture allora in voga. Ecco allora Aquisgrana, Venezia, Roma, Cipro, Costantinopoli, Gerusalemme, ma anche l’Etiopia, la Cina, i misteriosi percorsi delle Vie della Seta e quelli che conducono dalla Persia all’India. Ma forse a colpire maggiormente sono i particolari più minuti, quelli che immergono nella quotidianità di un viaggiatore dell’epoca. Un brano fra i tanti, che rende l’idea e fa sorridere, riguarda le buone maniere da tenere in una taverna: “Non grattarsi la testa o la schiena come se si avessero le pulci. Non tenere il broncio, né ammiccare troppo. Non tirare su con il naso. Non infilarsi le dita nelle orecchie, non ridere troppo rumorosamente. Bisogna parlare con calma, non dire bugie né stupidaggini. Non spalancare la bocca, ruttare, battere i piedi o allungare le gambe. Non pulirsi i denti né digrignarli. Non leccare il piatto”. A ben vedere, regole sempre attuali.

Mauro Cereda

( 5 luglio 2024 )

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