È vero, l’utilizzo di internet è in costante ascesa, ma c’è ancora qualcosa da mettere a punto. Parla chiaro il diciottesimo rapporto sulla comunicazione redatto dal Censis, che fin dal titolo evidenzia le profonde difficoltà dei media nell’affrontare una crisi che durerà nel tempo.
Un lavoro, sponsorizzato da Intesa Sanpaolo, Mediaset, Rai, Tv2000 e Windtre e realizzato dal gruppo guidato da Massimiliano Valerii, direttore generale del noto istituto di ricerca, che va ben al di là della pura questione di cifre. Si tratta di un vero e proprio viaggio nel mondo dell’in formazione con l’avvento del digitale, ad uso e consumo principalmente di quanti hanno sposato l’as sioma secondo il quale alla sfida delle nuove tecnologie non si scappa e il domani è a portata di mano grazie ai vantaggi economici e pratici che offrono a tutti.
Otto capitoli che disegnano una nuova contemporaneità per via della moltiplicazione dei mezzi di comunicazione e della loro personalizzazione con “l’ingresso nell’era biomediatica”. Meno giornali, più tv via web, computer, smartphone e tablet.
Insomma, “da una crisi all’altra”, con “I media dalla pandemia alla guerra” passando per “Lo stress da informazione”, “I postumi dell’e mergenza”, “Le relazioni sentimentali online” con la mappa dei nuovi rischi e “Le parole chiave della grande trasformazione”.
L’umanità è travolta da avvenimenti epocali, dal Covid al conflitto russo-ucraino alla necessità di diffondere una cultura ambientale fino alle questioni legate all’econo mia mondiale, passando “dalla corsa dell’infla zione alla scarsità di energia, dalla sequenza di fenomeni naturali estremi alla fine dell’antropocentri smo come modus vivendi”. Spogliata tra l’altro “del conforto di una teleologia rassicurante e senza più credere alle radiose promesse della modernità e al dominio onnipotente dell’’io’ sul mondo. Un ‘io’ che continua a trovare una piena espressione di sé attraverso i dispositivi personali digitali”.
Nuovi modelli di vita. “Siamo passati rapidamente – si legge nell’in troduzione al testo – dall’illusione della ‘fine della storia’ (Fukuyama) e dallo ‘sciopero degli eventi’ (Baudrillard) a un’infla zione inaspettata di eventi, privati del conforto di una teleologia rassicurante e senza più credere alle radiose promesse della modernità.
Anzi, se ci si interroga su quale sarà il futuro della globalizzazione, dopo la lettura apologetica degli ultimi trent’anni, spunta un neologismo: friend-shoring, cioè in prospettiva si dovranno confinare le catene globali del valore e gli scambi internazionali entro un perimetro definito solo dagli Stati che con noi condividono i nostri stessi valori fondanti di democrazia e libertà - che è un modo edulcorato per dire ‘seconda guerra fredda’”.
Perché c’è qualcosa di inarrestabile che scorre: “Il corso incalzante della rivoluzione digitale – spiegano gli autori del rapporto – . Basta guardare come gli italiani spendono, nonostante tutto, i propri soldi. I consumi delle famiglie sono ancora lontani dal recupero dei livelli del 2007, ovvero l’ultimo anno prima della grande crisi economica e finanziaria internazionale del 2008: nel 2021 restano sotto ancora di 8 punti percentuali rispetto ad allora, come conseguenza anche della pesante recessione del 2020. Tuttavia, nell’ultimo anno la spesa per l’acquisto di smartphone e accessori ha sfiorato i 7,9 miliardi di euro, corrispondenti a quasi sette volte il valore registrato nel 2007 (+572,0%), quella per l’acquisto di pc è più che raddoppiata nel periodo considerato (+138,9%), quella per i servizi di telefonia e il traffico dati è stata pari alla ragguardevole cifra di 14,7 miliardi di euro (mentre la spesa per libri e giornali subiva un vero e proprio crollo: -37,7% nell’arco di tempo considerato)”.
Risultato: dopo un breve stop del calo di lettori nel 2021, gli italiani che oggi leggono testi cartacei sono il 42,7% del totale (-0,9% rispetto al 2021 e -16,9% rispetto al 2007). Una flessione parzialmente compensata dall’aumento dei lettori di e-book, pari al 13,4% degli italiani (+2,3%). Nel biennio 2021-2022 sale l’utilizzo di internet nel Belpaese: 88% di utenza, +4,5%, in sovrapposizione con quanti usano gli smartphone (l’88%, +4,7%).
Non diminuisce la passione per i social network, lievitati all’82,4% con un +5,8% in un anno. Fra i giovani, nella fascia d’età compresa tra i 14 e i 29 anni, cresce l’impiego delle piattaforme online. Il 93,4% usa WhatsApp, l’83,3% You-Tube, l’80,9% Instagram. In ascesa tra i giovani utenti Tik-Tok (54,5%), Spotify /51,8%) e Telegram (37,2%). In calo Facebook (51,4%) e Twitter (20,1%).
Tabelle e freddi dati che fotografano la portata delle mutazioni in atto. Regge in qualche modo il piccolo schermo, seguito dal 95,1% degli italiani, anche se questa percentuale rappresenta la differenza tra la diminuzione dei telespettatori della tv tradizionale (-3,9& rispetto al 2021), la piccola crescita della tv satellitare (+1,4%), l’impennata della televisione via internet, con web tv e smart tv che arrivano al 52,8% (+10,9% in un anno) e l’esplosione della mobile tv, passata dall’1,0% di spettatori nel 2007 al 34,0% di oggi (più di un terzo degli italiani). Resiste invece la vecchia radio. Complessivamente, i radioascoltatori sono il 79,9 degli italiani, stabili da un anno all’altro. Tuttavia, se la radio ascoltata in casa attraverso il tradizionale apparecchio si attesta al 48,0% (-0,8% rispetto al 2021), l’auto radio sale al 69,0% (+4,6%, incremento dovuto soprattutto alla cessazione delle limitazioni alla mobilità precedentemente imposte a causa dell'emergenza sanitaria). L’ascolto via internet con il pc è stabile al 20,4% mentre la fruizione attraverso lo smartphone diventa sempre più elevata: lo fa il 29,2% degli italiani (+5,4% in un anno).
Dolenti note per la carta stampata. “Nel 2022 – recita il rapporto –, solo un italiano su quattro (25,4%) ha avuto occasione di leggere un quotidiano cartaceo, acquistandolo in prima persona o leggendolo ricorrendo al prestito di amici o a quelli a disposizione presso pubblici esercizi, biblioteche e sale lettura. La traslazione forzata verso la versione digitale dei quotidiani o altre forme d’informazione giornalistica – dalle classiche tv e radio fino alle varie piattaforme d’in formazione presenti sul web – determinata dalle fasi di lockdown ha eroso ulteriori lettori a un settore già in prolungata crisi. Non solo, l’editoria giornalistica può contare solo su uno sparuto numero di italiani, poco più del 10%, che ha mantenuto la tradizionale abitudine di consultare almeno un quotidiano cartaceo ogni giorno”. Diminuiscono ancora i lettori dei settimanali (-1,6%) e dei mensili (-0,6%). A differenza dei fruitori dei quotidiani online che sono il 33% degli italiani (+4,7% in un anno), mentre il 58,1% (+4,3%) utilizza i siti web d’informazione generici.
“Il vantaggio competitivo dell’informazione che scorre su internet – è scritto ancora nel rapporto – si sostanzia non solo della velocità e immediatezza con cui le informazioni vengono veicolate sul web – ed è sempre a portata di mano grazie all’uso ormai massiccio degli smartphone – ma anche dell’idea che le altre fonti non siano del tutto libere da condizionamenti e censure, proponendo una loro versione dei fatti o nascondendo o non dando adeguato risalto a determinati avvenimenti. Su tutto è comunque particolarmente apprezzata la piacevole sensazione di essere al centro del flusso di notizie e al tempo stesso propagatore e finanche produttore di informazioni e commenti, in una relazione tra pari non mediata e governata da specialisti dell’informa zione. Nel continuo processo di ibridazione e rispecchiamento che caratterizza i media del secondo millennio, anche i quotidiani online (e le testate giornalistiche della televisione e della radio) attingono con frequenza a video e audio amatoriali con cui i cittadini di tutto il mondo documentano quello che sta succedendo sotto i loro occhi e che dopo pochi minuti hanno già cominciato la loro corsa sulle autostrade digitali.
E in alcuni casi, l’urgenza delle breaking news fa scivolare anche i redattori dei siti web dei quotidiani nel pantano delle fake news o quantomeno delle notizie non adeguatamente verificate”.
Altro dato, quello secondo cui il 60,1% degli italiani ritiene legittimo il ricorso a una qualche forma di censura: in particolare, per il 29,4% non dovrebbero essere diffuse le fake news accertate; per il 15,7% le opinioni intenzionalmente manipolatorie e propagandistiche; per il 15% i pareri espressi da persone senza competenze per parlare.
Di contro, per il 39,9% non è mai giustificata alcuna forma di censura. Che si scontra con la necessità di operare seguendo leggi e regole della deontologia. “Questo sulla censura è l’elemento meno atteso – è stato il commento di Giuseppe De Rita, presidente del Censis – e ciò vuol dire che le persone hanno bisogno di sicurezza.
Se non c’è questa si va incontro a un degrado crescente dell’informazione”.
Effetti collaterali e talvolta straordinari della rivoluzione digitale. Con i media sempre più legati al passato e incapaci di intraprendere la strada giusta per il futuro.
Censis, I media delle crisi – Diciottesimo Rapporto sulla comunicazione, FrancoAngeli, pp. 186, euro 24,50