A volte può succedere che la lettura di un romanzo, dopo venti, trent’anni, susciti impressioni completamente diverse rispetto al primo impatto. Si è spesso detto che Alberto Moravia è stato dimenticato, che non è più considerato uno scrittore di punta come lo era fino alla sua morte, avvenuta nel settembre del 1990. Eppure Moravia non è affatto un romanziere datato, tutt’altro. Se i romanzi di Pier Paolo Pasolini raccontano una Roma che non c’è più nei suoi sobborghi abitati dal sottoproletariato urbano, l’attrito coniugale, la demarcazione tra il disamore della donna verso l’uomo e viceversa, la sfaldatura delle unioni specie borghesi, restituiscono un Moravia ancora attuale. Basta riprendere in mano Il disprezzo, apparso per la prima volta nel 1954 nelle edizioni Bompiani. Realismo, quotidianità, frenesia, nevrosi, disperazione, con al centro un argomento allora scabroso: la fedeltà, violata, tra marito e moglie, la contraddizione tra il conformismo e l’evasione.
Moravia racconta il male interiore, la noia e appunto l’acume di un rapporto improvvisamente sfaldato, che scivola nel disprezzo dell’altro.
“Si possono immaginare le cose più spiacevoli e immaginarle con la sicurezza che sono vere. Ma la conferma di queste supposizioni o meglio di queste certezze, giungerà sempre inattesa e dolorosa, come se non si avesse immaginato nulla”. Sesso e denaro, i due punti concentrici dei romanzi di Moravia, sono anche il punto di rottura dell’amore preso a prestito, utilizzato e scartato, fungibile come un oggetto. Il disprezzo, del resto, è un male incerto, perché non ha una scaturigine, non ha una ragione plausibile che lo possa determinare e alimentare. E’ il risvolto, appunto incontrollabile, del subconscio, che nel linguaggio comune potremmo definire una sorta di antipatia epidermica. In questo caso nasce dal niente e non si placa tra congetture, silenzi, gelosie, mugugni. Chi subisce il disprezzo di una moglie vive in un senso di ingiustizia e nel sospetto di non sapersi valutare e giudicare, esattamente come nel romanzo tra i protagonisti Riccardo ed Emilia, magnificamente interpretati, nel film di Jean-Luc Godard, da Michel Piccoli e Brigitte Bardot. La donna, al contrario, va valere il vezzo, che l’uomo non conosce (aspetto che compare spesso nei romanzi di Moravia). Moravia racconta dunque la corrosione dell’amore, mai il suo compimento, fino a renderlo normalità, non eccezione. Il disfacimento del sentimento corrisponde al bisogno di rivendicare la propria autonomia, il proprio giudizio, qualcosa di non mediato come lo sono, viceversa, il sesso e il denaro. Ecco che subentra un altro aspetto chiave dei romanzi: la finzione di un marito e di una moglie, non più padroni dei propri sentimenti camuffati fino alla resa dei conti.