Lunedì 1 luglio 2024, ore 15:45

Libri

La natura, la storia e il contingente

di ALESSANDRO MOSCÈ

Enzo Siciliano (1934-2006) è stato uno scrittore, un critico e un drammaturgo che non potrà essere dimenticato, specie da parte di chi, conoscendolo e frequentandolo, ha tratto beneficio dalle sue impressioni, dai suoi stimoli, dai suoi consigli di talent-scout. Il suo vasto patrimonio librario è confluito in un fondo depositato a Roma presso la biblioteca Casa delle Letterature ed è disponibile alla consultazione degli utenti. Siciliano non sapeva prescindere dalla lettura interpretativa, dal tentativo di catalogare un’epoca, anche un momento transitorio, certamente il nesso profondo tra l’esi stenza, la natura e il contingente. L’editore Pellegrini ha dato alle stampe il volume Racconto di romanzi e di poeti (2024) a cura di Flavio Santi e con la prefazione di Raffaele Manica (che di Siciliano ha curato Opere scelte, “I Meridiani” Mondadori nel 2011).

Manica puntualizza: “Leggere i suoi saggi è un incontro con i vari modi nei quali può manifestarsi la cordialità. Un discorso critico ha bisogno di questo tratto, nessun saggista può farne a meno”. Gli interventi contenuti nel libro sono articoli che coprono più di vent’anni di lavoro, usciti, tra il 1978 e il 2005, sul “Corriere della Sera”, “Repub blica”, “L’Unità” e “Nuovi Argomenti”.

La peculiarità della scrittura di Siciliano consiste nella ricerca di una consonanza tra l’uomo e l’autore, così che la letteratura acquisisce l’emissione simbolica del sentire e dell’immedesimarsi nella sofferenza, nel candore, nel sogno di chi, come Cesare Pavese, scelse di paragonare la vita ad una ferita, ad un peso sul presente, sulla persona, seppure con un risvolto comunitario, accomunante.

“Vi sono scrittori che intendono la poesia come il modo attraverso il quale l’anima si fa avanti contro la storia” (nel male della storia). Siciliano rimanda, in proposito, a Leopardi e a Verga, che vissero con intensità proprio la “dan nazione della storia” e le “abulie di una persa maturità”, di una modernità tanto incombente quanto confusa e frammentaria, optando per un recupero di argomentazioni assolute in una società apatica. Enzo Siciliano si è occupato di Pascoli (individuato nella crescenza di una società postrisorgimentale), di D’Annunzio (nell’abdica zione dell’io al piacere fisico e intellettuale), di Tozzi (nei personaggi che vivono sotto l’orlo di comprensione del proprio agire), di Palazzeschi (cercava la poesia nel burattinaio di se stesso), di Ungaretti (usò il vocativo senza imbrogli sentimentali), di Penna (aveva un grande istinto), di Moravia (colto nella conflittualità dei desideri), di Caproni (poeta di nostalgie intense), di Morante (capace di afferrare il moto nascosto delle cose), di Bassani (concentrato sul possesso geloso dell’appartenenza), di Fenoglio (che sulla parola fece crescere l’immagine di personaggi dal sentimento falotico), di Volponi (nel rapporto realistico del suo dettato), di Raboni (nel carico dei volti e dei morti) ecc.

Santi puntualizza il rigore morale e conoscitivo di Siciliano, che oggi, nella crisi della critica, di fatto incapace di monitorare le nuove generazioni, sarebbe un maestro indiscutibile e prezioso come è risultato per chi, da giovanissimo, lo ha incontrato e seguito (Mario Desiati). Una figura che manca, in un panorama complessivo impoverito, schiacciato dalla predominanza dell’iconosfera a discapito di tutto ciò che costituisce il campo magnetico dello studio, dell’approfondimento sulla pagina.

 

 

 

 

( 27 giugno 2024 )

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