La Milano “di una volta” è quella che si cela, non senza una certa vena nostalgica, dietro le immagini di Mario De Biasi, il fotografo che scelse di immortalare nei suoi scatti, a partire dal dopoguerra, quella che era la Milano “del suo tempo”, già caratterizzata da un mondo laborioso e febbrile che l’avrebbe portata in pochi decenni a diventare la capitale economica del nostro paese. Una Milano che effettivamente oggi è relegata ai ricordi di chi ha vissuto le trasformazioni sociali ed economiche tipiche della ricostruzione post bellica seguite dagli anni del boom economico, gli anni del “bel paese”, delle passeggiate domenicali fuori porta e dello shopping tra i negozi di Via Monte Napoleone, ma anche la Milano delle nebbiose periferie dominate dalle fabbriche e abitate da quel mondo operaio che cercava un riscatto dalla povertà della vita di campagna. Una Milano che era a tutti gli effetti accogliente verso chi arrivava dall’esterno, aperta alle innovazioni, ma anche attenta al benessere di tutti i suoi cittadini. Una Milano che oggi appartiene al passato, a cui con malinconia molti di noi continuano a guardare, con la speranza che dietro la vivacità culturale, artistica ed economica che la pone in vetta alle classifiche delle città europee per il suo dinamismo, ci sia ancora quello spirito solidale e umano che per secoli ha contraddistinto i suoi abitanti. Gli scatti di De Biasi sono un vero e proprio documento-racconto atto a risvegliare nella memoria dell’os servatore quella che è stata la storia del capoluogo lombardo a partire dagli anni Cinquanta del Novecento.
In omaggio all’immenso lavoro fotografico svolto dal fotografo su Milano, nel decennale della sua scomparsa nonché a ricordo dei cento anni dalla sua nascita, presso il Museo Diocesano Cardinal Carlo Maria Martini, dal 10 ottobre 2023 al 18 febbraio 2024, è stata allestita la mostra “ Mario De Biasi e Milano. Edizione Straordinaria”. Un allestimento costituito da ben 100 fotografie, in parte provini, vintage e inediti raccolti in ben 70 anni di carriera lavorativa dal reporter e ora conservati presso l’Archivio Mario De Biasi e presso l’Archivio Mondadori, dedicati quasi esclusivamente al suo rapporto con Milano, città d’adozione a cui sempre faceva ritorno e a cui con curiosità e passione riservò moltissimi reportage. La mostra si apre con la gigantografia di un ritratto del fotografo, ritrovato dalla figlia Silvia dopo la morte del padre, in cui, stretto nel suo impermeabile e con i capelli arruffati all’età di 22 anni a Norimberga, tiene tra le mani una macchina fotografica. Nato nel 1923 a Belluno, De Biasi si trasferisce, dopo la morte dei genitori, intorno ai 15 anni, a Milano, dove vive fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, quando viene inviato dal regime tedesco a prestare lavoro coatto come tecnico radiofonico, a Norimberga.
E’ proprio nella città tedesca che nasce il suo interesse per la fotografia, quando accidentalmente trova tra le macerie delle città del materiale fotografico e un piccolo manuale di tecnica fotografica in lingua tedesca. Attratto dal suo contenuto e dal desiderio di conoscere meglio la lingua tedesca, aiutato nella traduzione dal suo proprietario di casa, appassionato di fotografia, si avvicina al mondo dell’imma gine e scatta le sue prime fotografie con una macchina avuta in prestito, comprendendo che lei sarà il suo futuro. Sul retro del ritratto egli infatti, disegnando con pochi tratti una macchina fotografica, scrive l’ap punto: Mein traum ist da (Il mio sogno è qui). Finita la guerra ritorna in Italia e a Milano inizia a fotografare girando per le vie della città con il suo primo e rudimentale apparecchio, spinto dal desiderio di raccontare la quotidianità del capoluogo lombardo, alla ricerca non solo di luoghi da fotografare, ma curioso di scoprire la vita delle persone, che osservate da diverse angolazioni, con le loro azioni riescono a dare vita ai luoghi. I primi racconti che egli ci fornisce di Milano, come la veduta dall’alto della Galleria Vittorio Emanuele, evidenziano fin da subito la sua predilezione per le prospettive dall’alto perché dall’alto secondo lui si possono vedere le cose con occhi diversi, “abbrac ciando tutto”, un tutto in cui lui riesce sempre a cogliere gli sguardi e le azioni umane.
Focalizzando il suo obiettivo sulla città e su tanti piccoli particolari, egli affronta diversi temi, espressione del desiderio di ritorno alla normalità dopo anni di guerra, come la presenza dei primi turisti immortalati nello scatto “Coppia in viaggio di nozze sulle terrazze del Duomo (“Le scarpe strette”) in cui appaiono due giovani sposi sulle guglie del duomo con la donna a piedi scalzi e le scarpe al suo fianco, probabilmente perché strette, o ancora lo scatto fatto a due turisti mentre fotografano sul duomo.
Le sue fotografie si spostano continuamente da temi individuali, come la lettura, a temi collettivi legate alla vita dei lavoratori, alle usanze e alle tradizioni milanesi, dall’Epifania dei pompieri alla presenza del Gamba de Legn, tipico trenino a vapore che univa Milano alle periferie, a cui egli dedica alcuni reportage seguendone diversi percorsi, con numerosi focus sui suoi passeggeri, e tutto questo in un momento in cui ancora non è approdato alla professione ufficiale di fotografo. E’ infatti solo nel 1953 che intraprende la professione di fotoreporter, quando viene assunto nella redazione di “Epoca”, una delle principali riviste del gruppo Mondadori, portavoce della vita italiana quando ancora non esistevano i grandi mass media. Con essa lavora per oltre trent’anni realizzando centinaia di copertine, reportage in tutto il mondo, documentando eventi di cronaca, calamità naturali, guerre come soffermandosi sulla bellezza naturale dei luoghi meta dei suoi viaggi, al ritorno dei quali continua a dedicarsi a Milano. Girovagando lungo il Naviglio immortala i cittadini milanesi durante le attività settimanali o la domenica come nello scatto inedito “Pittore lungo il naviglio”, in cui ferma il suo obiettivo su un pittore che durante un giorno festivo sotto un ponte è intento a dipingere il paesaggio, quasi en plan air. Molte fotografie presentano contrasti di luci e ombre, come “A passeggio sotto la pioggia”, facendo emergere il suo intenso senso grafico, e il suo interesse verso la geometria. Tra i diversi temi affrontati non manca la Milano dei divertimenti, dove il suo sguardo si posa con interesse sui giochi dei bambini presso le macchinine di ferro a Porta Venezia o intenti ai lanci di palloncini in Piazza Castello. La Milano delle fabbriche è sicuramente un altro dei tratti significativi della fotografia di De Biasi, capace di evidenziare la vita operaia presente nelle periferie, segno distintivo del mondo milanese per molti decenni. L’uomo diventa così il soggetto centrale delle sue immagini. Si racconta che egli passasse intere giornate a seguire le persone al fine di documentarne le loro azioni quotidiane, trasformandosi in un occhio della città.
Nella mostra non poteva mancare il reportage fatto a Moira Orfei, per conto di Epoca, con lo scopo di evidenziare il feedback che poteva provocare la vista di una ragazza in giro per la città inseguita da un uomo che desidera approcciarla. Così come è presente la serie dedicata alla “ragazza del 56” che viene ripresa da mattina a sera da De Biasi per documentare la giornata tipo di una ragazza degli anni Cinquanta. Allo stadio di San Siro e all’Ippodromo sono dedicati ulteriori scatti fotografici in cui emergono altri simboli della città come il panettone regalato ai giocatori dai piccoli Martinitt, bambini ospiti dell’omonimo orfanotrofio cittadino. Curiosa è la storia di una statua abbandonata sul Monte Stella e usata dai cittadini in modi diversi per diversi anni, che suscitando la curiosità del fotografo diviene oggetto di molteplici suoi scatti, poi raccolti in un libro, che finito casualmente nelle mani di un critico d’arte ne permette la sua attribuzione a Marino Marino, dando inizio così ad un suo restauro, grazie proprio alla documentazione fotografica di De Biasi, che si era accanito nel seguire il suo destino per diversi anni. La mostra si conclude con uno spazio dedicato alle immagini scattate in diverse parti del mondo per evidenziare il lavoro del reporter oltre i confini italiani.
Diversi sono i suoi impegni all’e stero dopo il 1956 sempre su richiesta di Epoca, dall’Ungheria, dove porta a termine un reportage molto forte durante la rivoluzione, fino New York, dove sfida i pericoli di Harlem per raccontare la vita del ghetto americano. I suoi scatti arrivano fino alla luna, quanto per alcuni mesi segue, all’interno dei laboratori Nasa, l’addestramento per l’impresa spaziale dell’Apollo 11, documentando la vita degli astronauti durante le fasi preparatorie allo sbarco sulla luna. De Biasi oltre ad essere un pioniere per le scelte tematiche con cui organizza i suoi reportage, come dichiara la curatrice della mostra Maria Vittoria Baravelli “con le sue fotografie riesce a creare un memoir di ricordi futuri perché, come raccontava lui stesso molto prima di internet e dei social networks, ricordando il suo passato da deportato a Norimberga, una fotografia nasce sempre due volte: quando viene scattata e quando saremo davvero in grado di ricordarla .”
Attraverso le fotografie di De Biasi lo spettatore avrà così un’impor tante occasione per riflettere attraverso il passato sull’attuale vita delle nostre città, al fine di progettarne uno sviluppo futuro attento all’uomo e ai suoi cittadini a garanzia dei caratteri identitari del suo territorio.