Parma, Modena, Sassuolo, Reggio Emilia, Bologna, Roma, Jesi, Bari. Sono molte le città che di recente hanno reso omaggio al grande fotografo dei grandangoli Luigi Ghirri, ripercorrendone l’attività in ambito nazionale e internazionale (quest’anno ricorreva il trentennale della morte). Nato in provincia di Reggio Emilia nel 1943 (a Scandiano), Ghirri ha vissuto a Modena fino alla scomparsa avvenuta appunto nel 1992. I nonluoghi coniati da Marc Augé erano il suo patrimonio interiore, come il profilo delle nuvole in una dimensione eterea e onirica. Quindi il paesaggio naturalistico, specie marino e collinare, le architetture meno note della provincia italiana, l’uomo nel tempo libero, in una sorta di ricreazione personale.
Fortemente contrario alla civiltà dei mass media, convinto che trasfiguri volontariamente la realtà, Ghirri ha caratterizzato la sua ricerca sulla vivificazione del quotidiano e sul prestare attenzione a tutto ciò che di solito si guarda ma non si nota. Da tale punto di vista si può considerare un vero innovatore della fotografia contemporanea. Luigi Ghirri amava le collaborazioni, i vasi comunicanti, quel protendere verso una fotografia narrativa e poetica, che raccontasse in particolare la via Emilia (ci piace ricordare, tra i sodali, Gianni Celati e Antonio Tabucchi). Ghirri è ormai diventato un classico del terzo millennio per la sua forza visibile e visionaria che richiama, inevitabilmente, l’infinito leopardiano, il senso di dispersione e l’interrogativo assoluto di un prima e un dopo, di un destino incerto. Le vedute improvvise, l’alba, i tramonti, le case, le città, l’eden come rivisitazione del presente, restano l’impronta del pensare soffermandosi sulle sfumature di un ingresso, sulle nebbie di una stradina, sui riflessi di un processo mentale. Gli spazi di Luigi Ghirri sembrano prolungati in uno stato di sospensione, seppure assolutamente reali, ma la delicatezza e l’asciuttezza della ripresa li rende forieri di un interrogativo permanente, insoluto: per questo si è parlato di fotografia filosofica. Nel libro “Lezioni di fotografia” (Quodlibet, Macerata, 2009) Ghirri ha puntualizzato: “Ho sempre guardato all’immagine fotografica come a qualcosa che non si può definire, una specie di immagine impossibile. L’ho sempre vista come una strana sintesi tra la staticità della pittura e la velocità, che è qualcosa di interno alla fotografia, al suo processo di costruzione, cosa che l’avvicina al cinema. Perché io la fotografia la guardo dal punto di vista dell’immagine”.