Martedì 17 settembre 2024, ore 15:20

Libri

L’epicentro di tutte le nevrosi

di ELIANA SORMANI

L’ opus dell’ingegnere nascerà allora dagli interdetti agonici e dai tabù tetanici delle famiglie appiccicate e recluse che borbottano meccanicamente rosari, al buio per economia e considerano ogni spesa una calamità, ogni scampanellata un annuncio di sventura, ogni viaggio uno sperpero inammissibile, ogni divertimento una vergogna insensata” così Alberto Arbasino nel suo “Genius Loci” descrive le origini del lavoro di Carlo Emilio Gadda, sottolineando lo stretto legame tra lo scrittore milanese e il mondo famigliare in cui era nato e vissuto. Un contesto famigliare che ripetutamente egli rappresenta nelle sue opere attraverso la rappresentazione di un ambiente che riflette quelle che sono le dinamiche presenti in buona parte delle famiglie borghesi agli inizi del Novecento in Brianza, terra in cui il padre per scelta aveva deciso di costruire una villa, la “Villa di Longone” a cui Gadda dedica una delle sue prime novelle, scritta nel 1927 “Villa in Brianza”. “In quel aria” dice Francesco Pelegatta, figura centrale del breve racconto nonché alter ego del padre dello scrittore, “i suoi figli, sarebbero cresciuti vigorosi, felici”, ma “non la chiamò villa, non voleva la chiamassero, chè aborriva dal fasto e da’ nomi sontuosi, inconciliabili con lo spirito de’ tempi e con la sua modesta pietà di marchese che rinuncia al titolo, vanagloria bollata dal Porta. Ma “casa”. Se dicevano “la sua villa” dava fuori.” Una casa, che diviene nella “Cogni zione del dolore”, l’epicen tro di tutte le nevrosi dello scrittore. In fondo gran parte dei problemi economici della sua famiglia erano derivati proprio da quella casa che sempre nel medesimo romanzo è un tutt’uno con la figura materna, Adele Leher, verso la quale Gadda nutre un sentimento di amore e odio.

In una lettera alla sorella Clara già il 15 febbraio del 1927 dice “Il pensiero di Longone è sempre motivo di grande irritazione e di profondo scoraggiamento per me”…“è come pietra di una tomba posta sulla nostra vita, sui nostri sacrosanti interessi e diritti… .Non parlarmi quindi mai né di Longone né del sozzo contadiname a cui manteniamo una casa, mentre io devo lavorare come un cane e vivere al 4° piano in una camera fredda”. Sarà solo alla morte della madre che egli potrà liberarsi definitivamente della “fottuta casa di campagna”,”del feudo barcollante di Longone”, del “verme solitario Longone”, “con Resegone sullo sfondo e odor di Lucia Mondella nelle vicinanze e a vendicarsi”, confesserà in diverse occasioni lo scrittore. Essa in fondo condensa, come in un maleficio, il narcisismo paterno e materno: se il padre Francesco l’aveva voluta la madre Adele si era non meno colpevolmente appropriata “dell’I dea Matrice della Villa” ed entrambi avevano consentito che sui figli inermi precipitasse “tutto l’acheronte della mala suerte”(da Cognizione del Dolore).

Quando Emilio Gadda stila la novella “Villa in Brianza” (gennaio 1929) ha da poco più di un anno lasciato il suo lavoro di ingegnere per prendersi un anno sabbatico. Rientrato a Milano dopo tre anni di vita romana alle dipendenze della “Amonia Casale”, società per cui lavorava dal 1925, a causa di un’ ipotetica ulcera, si abbandona a quella passione innata che porta dentro di sè verso la scrittura, e quell’anno di riposo forzato diviene per lui molto produttivo dal punto di vista letterario, anche se poi avrebbe ripreso nel 1929 la sua professione di ingegnere, con incarico a Terni, rimandando al futuro quell’attività che temeva l’avrebbe condotto “ad un tragico nulla”.

Il catalogo delle opere da lui scritte, o almeno abbozzate, in quei pochi mesi è infatti notevole: oltre alla “Villa in Brianza” racconto rimasto inedito fino al 2001, pur noto e citato spesso dai gaddisti, mette mano già il 2 marzo a una novella che poi diventerà “La Madonna dei filosofi”, in cui proietta nel protagonista ingegnere Baronfo (suo doppio), la sua passione per la filosofia. Gadda infatti nel 1921 si era iscritto al terzo anno di filosofia, concludendo gli esami senza tuttavia laudi rearsi. Egli non aveva infatti concluso la tesi su Leibniz, senza una precisa ragione. Tra il 23 marzo e il 24 aprile del 28 stende anche la una novella 2°(Dejanira classis) anticipando il suo interesse verso il genere giallo, che solo 30 anni dopo soddisferà con la pubblicazione del “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”, che gli porta finalmente notorietà. Il 22 ottobre del 1928 inizia una terza novella “La meccanica”, che diviene poi un romanzo, ed infine nel dicembre del 28 inaugura un nuovo quaderno in cui il 9 gennaio inserirà proprio “Villa in Brianza”.

Gadda pone come incipit della novella la descrizione di Francesco Pelegatta, che incarna la figura del padre, Francesco Ippolito, morto nel 1909, figura praticamente assente nella vita dello scrittore e che in nessun altro testo viene descritta così a lungo. “Uomo sommamente morale” “Da giovane aveva viaggiato per ragioni di studio e di lavoro: non aveva imparato quasi niente, ma insomma era stato a Elberfeld, a Lione, a Londra. Conosceva le lingue, era “neguziant de seda”. Aveva perduto tutta la sua sostanza, il suo incubo erano i “fra massoni”, però l’eleganza innata del portamento e l’ineccepibile candore del camicione inamidato potevano lasciar pensare ancora agli ingenui ch’ei possedesse qualche fortuna. Invece non aveva un soldo”. E la descrizione continua fino a citare il fallimento della filanda che aveva costruito “in un sito senza acqua e senza maestranze” e la decisione di costruire la casa in Brianza perché a “Milano non c’era la campagna”.

La breve novella ristampata nel 2007 da Adelphi, arricchita da una puntuale analisi di Giorgio Pinotti dal titolo “I Lari angosciati in vincoli”, contiene già tutti quelli che sarebbero poi stati i caratteri distintivi del linguaggio e dello stile di Gadda, l’uso di espressioni fortemente dialettali accanto a neologismi, a termini stranieri e all’uso di tecnicismi che gli derivano dalla sua formazione scientifica (come emerge nella descrizione minuziosa dei terreni acquistati dal padre su cui doveva sorgere la casa e dalla descrizione della stessa), ma anche lo sguardo ironico e a volte l’irrive rente umorismo (basti pensare alla descrizione di Marietta, la domestica “che piscia in piedi”) con cui osserva e descrive gli abitanti di quella campagna che andava, con suo grande rammarico, cambiando per via del progresso e perdendo la “brianzolinità” che da secoli la contraddistingueva. Uno sguardo che porta in sé una certa nostalgia per un mondo perduto, ma anche uno sguardo disincantato rispetto ad un progresso inevitabile. In fondo Gadda aveva visto lontano e con perspicace ironia era stato capace di vedere ciò che in seguito sarebbe accaduto alla verdeggiante e avita Brianza.

( 9 settembre 2024 )

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