Mercoledì 15 gennaio 2025, ore 15:56

Mostre

Dalla luce al buio

di ELIANA SORMANI

Nessun momento poteva essere più adatto di quello che stiamo vivendo, con due teatri di guerra aperti alle porte dell’Europa, per allestire una mostra dedicata a Goya, artista che in un modo sicuramente unico è stato in grado di portare attraverso i suoi dipinti, l’inferno tra gli uomini, come conseguenza di quello che lui stesso aveva definito “Il sonno della ragione”. Il Comune di Milano e Palazzo Reale per la seconda volta dedicano a questo pittore una monografica, non però come nel 2010 mettendo a confronto le sue opere con quelle di altri famosi artisti che ne avevano subito la sua influenza, ma ricostruendo il suo processo creativo attraverso quello che è il suo percorso biografico e artistico, a sottolineare la piena corrispondenza nell’artista tra arte e vita. Ciò è stato possibile grazie soprattutto alla collaborazione con la Real Academia de Bellas Artes de San Fernando di Madrid, che ha messo a disposizione diverse incisioni del maestro aragonese, in dialogo per la prima volta con le loro matrici in rame, da poco restaurate, dando così l’occasione di raccontare anche il suo rapporto con la medesima accademia presso la quale era stato maestro dal 1785 al 1797, anno in cui le sue precarie condizioni di salute (che lo portarono alla quasi sordità), lo obbligarono a ritirarsi dall’insegnamento.

Alla Real Academie egli era stato ammesso nel 1780, dopo ben due infruttuosi tentativi e solo dopo aver dipinto un “Cristo crocifisso” rinunciando al suo stile per seguire i canoni stilistici neoclassici, a cui l’Aca demia si ispirava influenzata dalla lezione di Mengs, che in quegli anni era suo direttore. Goya era sicuramente più attirato dallo stile libero e vaporoso di Tiepolo, ammirato in gioventù, come si vede in apertura della mostra attraverso alcune sue opere d’esordio. L’espe rienza neoclassica fu per Goya tuttavia estemporanea e esclusivamente legata al suo interesse ad accedere all’accademia e a soddisfare le committenze e i gusti del tempo, visto lo spirito libero e autonomo che lo accompagnava fin dai primi anni di attività artistica, come si evince dal suo “Autoritratto al cavalletto” del 1785, in cui si presenta a figura intera con abiti eleganti con un pennello tenuto tra le mani come fosse una piuma pronta a librarsi libera nell’aria.

Francisco José de Goya y Lucientes era nato il 30 marzo del 1746 a Fuendetodos, Saragozza. Egli non fu certo un pittore precoce. Raggiunse la fama dopo un regolare percorso di formazione, intrapreso in giovane età attraverso lo studio del disegno e della pittura con il maestro José Luzán Martínez, prima a casa, poi, dall’età di tredici anni, presso l’Academia de Dibujo di Saragozza, ed infine a Madrid, dove completò il suo percorso di studi. Nel 1770 giunse in Italia dove ampliò le proprie conoscenze ed entrò a contatto con le opere dei grandi maestri italiani.

Nel 1771 si presentò al concorso dell’Accademia di Belle Arti di Parma con il dipinto “Annibale vincitore osserva l’Italia dalle Alpi” (in mostra nella prima sezione). Pur non aggiudicandosi il primo premio, ottenne l’apprezza mento degli accademici che notarono la sua abilità nell’esecuzione del dipinto. Nelle opere che dipinse in quel periodo, sia di soggetto sacro come non, l’artista applicò le regole apprese negli anni di studio e allora prevalenti, permeate da residui tardo barocco o prese in prestito dal classicismo ufficiale, come l’armonia nell’uso del colore e l’uso di tratti definiti che delineavano le figure appartenenti ai dettami accademici, che poi via via abbandonò, rompendo con la tradizione e mostrando un’autonomia e un’in dipendenza personale che precorrono l’arte moderna. A partire dal 1788 la pittura di Goya tuttavia cambiò radicalmente. Nei suoi dipinti fecero la loro comparsa torture, depravazione, assassinii, feste interrotte, il satanico e il demoniaco, la stregoneria, una sequela di bambini impiccati e impalati, e tante altre brutture.

Poco alla volta la pittura su commissione e dettata dai canoni stilistici classicheggianti del tempo lasciò spazio ad una pittura intima, personale e libera da ogni convenzione o regola prestabilita, intesa a guardare il sociale e le brutalità del mondo che lo circondavano. Goya ormai raggiunta la maturità artistica e la libertà economica, disilluso a causa di una realtà che si manifestava spesso crudele e violenta, si sentiva libero di rappresentare il mondo così come lo vedeva, un mondo in cui il male e il dolore erano radicati e irrisolvibili, tanto che le sue opere diventarono sempre più cupe e nere. I contatti con grandi esponenti del illuminismo (Javellanos, Moratin) gli permisero di sviluppare una capacità critica volta a vedere la realtà in modo nuovo, una realtà che “nel sonno della ragione può generare mostri”.

Egli mettendo in discussione i valori tradizionali, sia in ambito artistico come religioso, quanto politico si sentiva libero di esprimere la propria visione del mondo, poiché l’arte stessa per lui non poteva più limitarsi ad avere un valore solo di testimonianza, ma aveva il compito di denunciare, per quanto fosse difficile e amaro, guardando oltre se stessa e proiettandosi sul destino dell’umanità.

La mostra milanese, curata dal Professor Víctor Nieto Alcaide, frutto di un lavoro pluriennale, attraverso circa settanta opere tra dipinti e incisioni in dialogo con le loro matrici in rame, offre un percorso che oltre ad avere un grande valore artistico è anche di grande attualità, trasformandosi in una denuncia contro i crimini che si compiono durante le guerre, poiché mai nessuno alla stregua di Goya è stato capace di rappresentarne i suoi effetti, mettendo di fronte l’uomo di ogni tempo a ciò che realmente accade intorno a lui.

Il percorso espositivo ideato da “Novembre Studio” riesce a coinvolgere emotivamente il visitatore esplorando la crescita artistica di Goya attraverso un itinerario che si sviluppa visivamente e simbolicamente dalla luce al buio, esprimendo così la trasformazione delle opere dell'artista dall'inizio della sua formazione accademica fino alla rappresentazione degli orrori della Guerra d’indi pendenza spagnola, caratterizzando ogni sezione con un tono di grigio diverso che si fa via via più scuro. La gradualità del colore (dai toni chiari a quelli scuri) si interrompe solo nella sezione dedicata alla guerra, dove a dominare è il colore rosso sangue a sottolineare la drammaticità del tema, “sve gliando lo spettatore dal torpore rivoluzionario dell’arte di Goya”.

Tutto questo contribuisce a rappresentare metaforicamente il viaggio esistenziale compiuto da Goya a partire dal periodo in cui i Barboni dominavano la Spagna fino al periodo delle grandi rivoluzioni, da quella francese a quella industriale. Un viaggio vissuto in un’epoca di grandi trasformazioni e turbamenti che insieme ai problemi personali, nonché di salute, portano il pittore a profondi cambiamenti artistici determinando il passaggio da un “Goya bianco”, prima del 1790, a un “Goya nero”, dal 1790 fino alla fine della sua vita. La mostra suddivisa in sette sezioni di carattere cronologico-tematico, segue il percorso artistico-biografico del genio aragonese, soffermandosi sui principali momenti di passaggio, come quando, a partire dall’opera “San Francesco Borgia assiste un moribondo”, si libera dei canoni stilistici tradizionali e inizia a dipingere in modo più libero e vero.

Momento questo in cui la pittura di Goya diventa più buia ma anche più vicina a noi, più contemporanea e provocatoria. Non dobbiamo infatti dimenticare che egli fu processato anche dalla Santa Inquisizione sottoposto alle critiche della chiesa, e delle istituzioni, salvandosi solo grazie alle importanti amicizie che lo proteggevano.

Sicuramente lo spettatore durante il percorso della mostra viene colpito dalla enorme differenza pittorica tra le prime sezioni e le ultime. Differenza tra le opere compiute su committenza, ritratti eseguiti a sovrani, aristocratici, amici e intellettuali del tempo, in cui pur accanto allo stile personale si intravvede una sua adesione alle tecniche tradizionali del tempo, e le opere eseguite dopo il 1790, quando libero dai vincoli di committenza dipinge liberamente, lasciando spazio alla fantasia come si vede nella serie “Capricci” e “Proverbi”, o nella serie “Disparates”, che con le loro enigmatiche didascalie, di stampo razionalista illuminista, misteriose e di difficile interpretazione, sfidano il pubblico chiamato ad una lettura personale e soggettiva. Una libertà di espressione che già si può notare nella seconda sezione della mostra nei disegni dei cartoni per gli arazzi attuati per la Real Fábrica de Tapices di Santa Barbara, in cui emerge un uso personale del colore e un forte senso critico e allegorico.

Il Goya che si incontra in mostra è a tutti gli effetti un artista a 360 gradi che usa il proprio talento in modo differente ma sempre altissimo nella pittura, nell’incisione come nel disegno, ambiti diversi e separati, in cui egli mostra la sua irrepetibilità attraverso una pittura che guarda a se stessa con la capacità di evocare il passato anticipando i tempi futuri: una pittura dunque in grado di parlare agli uomini di tutti i tempi.

Goya. La ribellione della ragione , Milano-Palazzo Reale, 31 ottobre 2023-3 marzo 2024.

( 20 novembre 2023 )

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