Mercoledì 15 gennaio 2025, ore 11:12

Strage di Capaci

Oggi come trent’anni fa il sindacato è sentinella della legalità

di Luigi Sbarra

A trent’anni dalla strage di Capaci, la ferita resta sempre aperta e tanti sono ancora gli interrogativi ed i misteri irrisolti di quella pagina tragica nella storia del nostro Paese. Di quel pomeriggio del 23 maggio del 1992 resterà perennemente nella nostra memoria quando tutti i telegiornali, in edizione straordinaria, comunicarono una notizia agghiacciante: Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro erano stati uccisi in un attentato sulla autostrada che da Palermo conduce a Punta Raisi. Un mese dopo anche Paolo Borsellino fu massacrato insieme alla sua scorta in un altro terribile agguato, davanti l'abitazione della madre del magistrato palermitano. Lo stesso drammatico destino aveva accomunato due servitori dello stato, due magistrati siciliani assassinati perché avevano cercato di combattere la mafia, individuando responsabilità, connivenze e connessioni, anche dentro lo Stato. Fu un colpo durissimo per il nostro Paese. Smarrimento, rabbia, paura erano i sentimenti comuni tra la gente. Ma come era già accaduto negli anni tragici del terrorismo fu il mondo del lavoro a scendere in campo per sollecitare una risposta unitaria ed attiva, senza distinzioni, di fronte all'attacco mafioso portato al cuore delle istituzioni democratiche. Il 27 giugno di quell'anno centomila lavoratori giunsero in Sicilia a Palermo da ogni parte d'Italia dietro le bandiere del sindacato per chiedere giustizia, legalità, sviluppo. Ci fu una grande manifestazione unitaria, la più imponente nella storia del Mezzogiorno, che costituì una svolta per la nascita di un sentimento collettivo di “rivolta delle coscienze' nei confronti del ricatto criminale. La Repubblica reagì e mostrò il suo volto più nobile e partecipato. Il sacrificio dei suoi servitori mobilitò cittadini, associazioni e istituzioni. Le immagini delle lenzuola bianche esposte al vento divennero simbolo di una chiara volontà di cambiamento. L’Italia comprese che la lotta alla mafia non doveva essere una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale chiamato a coinvolgere tutti, a partire le giovani generazioni. Lo Stato seppe reagire: i boss mafiosi, in fuga da decenni, furono arrestati, anche se i mandanti occulti di quelle stragi degli anni Novanta non sono mai stati individuati. “La mafia è composta da uomini che si possono sconfiggere, purché lo si voglia', ha detto giustamente Giovanni Falcone. Parole ancora attuali, in una Italia dove la presenza, il ricatto e le infiltrazioni di mafia, ‘ndrangheta e camorra sono ancora forti ed estese. Ecco perché non possiamo abbassare la guardia: bisogna rilanciare una grande alleanza tra istituzioni e società civile contro le mafie, la corruzione, il capolarato ed ogni forma di malaffare, attraverso un ruolo attivo di denuncia e di collaborazione con la magistratura e le forze dell’ordine.

Il sindacato può assumere, grazie al proprio radicamento nei luoghi di lavoro e nei territori, il ruolo di vera e propria “senti nella” della legalità. È la ragione per cui dobbiamo dare un percorso partecipato all’attuazio ne del PNRR e delle altre risorse nazionali ed europee che si riverseranno nei prossimi anni sul nostro Paese. Per assicurare trasparenza, legalità, certezza delle regole, non c’è antidoto migliore di un perimetro ampio e sociale di monitoraggio e controllo su appalti, qualità della spesa, intermediazioni. Non c’è modo migliore per garantire, in un tempo solo, sviluppo e presidio di giustizia. La criminalità si annida nella povertà, si nutre oggi delle diseguaglianze crescenti nel paese a causa della pandemia e della guerra, nel senso diffuso di solitudine e frustrazione. Legalità e crescita sociale marciano insieme. Per questo, allo stesso tempo, va rafforzata la presenza dello Stato e vanno avviate politiche di coesione che – al Sud ma non solo - rilancino buona occupazione, salari e pensioni dignitose, sviluppo economico, diritti di cittadinanza. A cominciare dal più importante: quello per il lavoro sicuro ed emancipatore. Per questo bisogna avviare una stagione di forte integrazione sociale e geografica, incentrando le politiche di sviluppo nazionali ed europee sul riscatto delle realtà deboli. Per questo Governo, imprese e sindacato devono costruire un nuovo e moderno patto sociale sulla base di obiettivi concreti, scelte e responsabilità condivise, che ridiano protagonismo al lavoro e alla sua dignità, che colmino le lacune infrastrutturali e ambientali del Mezzogiorno, che dichiarino guerra ad ogni forma di sfruttamento, spezzando quella rete di omertà e ricatto che c'è in molti territori. Dobbiamo farlo ora e dobbiamo farlo insieme, in nome del sacrificio eroico di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Segretario Generale Cisl

( 23 maggio 2022 )

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