Continua il braccio di ferro tra il governo e ArcelorMittal sul futuro dell’acciaieria tarantina. Ed entra in gioco anche la magistratura, con la procura di Taranto che ha disposto l’avvio delle procedura di spegnimento dell’Altoforno 2 dell’impianto ex Ilva. Notizia che - aggiungendosi al nodo immunità e a quello sulla cig già scattata per circa 1.400 lavoratori - preoccupa moltissimo le organizzazioni sindacali. Al tavolo romano con azienda e sindacati, il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, non è si è mostrato intenzionato a tornare indietro sull’abolizione dell’immunità penale degli amministratori dello stabilimento (eliminata con il decreto Crescita), sebbene l’azienda ne abbia richiesto la reintroduzione minacciando altrimenti la chiusura della fabbrica.
I sindacati hanno lasciato il ministero fortemente delusi. L’incontro è stato deludente perché il governo non ha ancora risolto la partita dello scudo penale e l’azienda non ha dimostrato nessuna volontà di ritirare la cassa integrazione e non ha neanche sciolto il nodo se i lavoratori alla fine delle 13 settimane di cig rientreranno tutti in azienda”.
“Siamo molto preoccupati - afferma il segretario generale della Fim Marco Bentivogli- rispetto a quello che sta accadendo. La notizia del possibile spegnimento di Afo2 si somma agli altri problemi riguardanti la cassa e lo scudo penale, complicando non solo la gestione dell’accordo ma soprattutto il rilancio industriale e l’ambientalizzazione. L’incertezza sullo scudo penale che, ricordiamo, è solo temporaneo e limitato ai lavori che servono all’applicazione dell’Aia, va sciolta il prima possibile perché non si possono scaricare sui lavoratori, e sulle loro famiglie, i rischi della chiusura degli impianti e della perdita del lavoro in una zona del Sud del Paese con grossi problemi occupazionali”. Rispetto alla richiesta di cassa integrazione la Fim ritiene che l’azienda, partita con un livello occupazionale più basso rispetto alla precedente gestione, abbia già le necessarie flessibilità per affrontare il calo della domanda di acciaio, senza dover ricorrere agli ammortizzatori sociali. “Per questo - continua Bentivogli - chiediamo il ritiro della procedura di cassa integrazione e l’impegno da parte di tutti a fare la propria parte senza scaricare su lavoratori e ambiente le proprie responsabilità. Anche perché è molto grave che azienda non abbia dato alcuna rassicurazione sul rientro alla fine delle 13 settimane dei 1395 lavoratori. L’accordo sul piano - conclude il sindacalista - non ha compiuto ancora un anno, l’azienda è sottodimensionata, bisogna evitare azioni unilaterali che pregiudicherebbero la tenuta dell’intesa del 6 settembre 2018.