Mercoledì 21 agosto 2024, ore 18:20

Lavoro

Il benessere in azienda fatica ad aprirsi la strada

Relazioni faticose, mancati riconoscimenti, assenza di attenzione al piano personale, frammentazione, identità lavorativa continuamente in discussione”. Non è proprio idilliaco lo scenario tracciato da un’indagine sul benessere aziendale realizzata dallo Sportello disagio lavorativo e mobbing della Cisl di Milano, che ha intervistato 47 delegati sindacali, per metà uomini e per metà donne, di imprese di ogni dimensione e di tutti i principali settori, attive nell’area metropolitana. “Circa la metà del campione - osserva la responsabile dello Sportello, la psicologa e psicoterapeuta Federica Piacenza - reputa la propria situazione in azienda precaria, individuando la variabile relazionale come problematica e determinante nel creare un clima non positivo. Il 78% percepisce conflittualità tra colleghi, che il 53% giudica elevata; il 90% riferisce di essersi sentito limitato rispetto alla possibilità di potersi esprimere liberamente; l’85% dice di essersi sentito rimproverato ingiustamente o in modo esagerato; circa il 50% ha sperimentato forme di isolamento o allontanamento dalla propria mansione, spesso per ragioni immotivate”.

La ricerca è stata condotta tramite un questionario di 129 domande, anticipato da un incontro conoscitivo. La maggior parte degli intervistati (42%) ha tra i 45 e i 55 anni e il 95% ha un contratto a tempo indeterminato. Si tratta dunque di figure non precarie, che sentono anche la responsabilità del proprio ruolo di rappresentanza sindacale. Tra le criticità del vissuto aziendale molti sottolineano la staticità della carriera (poche progressioni, poca crescita economica, poche gratificazioni personali), l’aver subito demansionamenti (dopo la maternità, dopo l’ingresso nel sindacato, a seguito di ristrutturazioni aziendali), la poca meritocrazia, i carichi di lavoro eccessivi da svolgere in tempi impossibili da rispettare. Non mancano però, soprattutto fra i dipendenti di multinazionali, quelli che sottolineano gli aspetti positivi, che si sono tradotti in aumenti economici e di livello, premi, riconoscimenti durante incontri di gruppo.

“Credo che siano principalmente due le strade da percorrere per affrontare alcuni dei problemi evidenziati dalla ricerca - nota il segretario generale della Cisl milanese, Carlo Gerla -. Occorre, innanzitutto, potenziare la contrattazione di secondo livello, in modo da concertare e trovare le risposte più corrette per ogni singolo contesto lavorativo. E poi bisogna coinvolgere maggiormente i lavoratori nella vita dell’impresa, così come prevede la proposta di legge di iniziativa popolare sulla partecipazione lanciata dalla Cisl. Una iniziativa che mira a dare piena attuazione all’articolo 46 della Costituzione che riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende”.

Le interviste hanno ribadito alcuni problemi che si trascinano da tempo. Si fa un gran parlare di allarme denatalità, ma i figli continuano ad essere un freno sul mercato del lavoro, in particolare per le donne. “Una criticità emersa con chiarezza - aggiunge Piacenza - riguarda la genitorialità. Il 42% riporta difficoltà legate alla maternità: mancati rinnovi, demansionamenti, mancate riduzioni orarie, commenti e critiche. Le madri, nel 30% dei casi, dicono di avere avuto paura a comunicare ai responsabili la gravidanza, mentre la stessa percentuale riferisce di avere vissuto direttamente forme di discriminazione a seguito del rientro dalla maternità. Un altro tema delicato è quello della sfera sessuale: il 25% dichiara di avere subito situazioni di molestie, il 31% racconta di essere stato direttamente vittima di battute e/o allusioni sessuali sul posto di lavoro”.

Rispetto alla possibilità di poterne parlare o denunciare sono emerse due visioni opposte: il 46,8% agirebbe in azienda e si sentirebbe al sicuro e tutelato, mentre il rimanente 53,2% crede che prevarrebbe la tendenza a sminuire l’accaduto e a trattarlo superficialmente. L’indagine getta un’ombra anche sul fronte delle discriminazioni che possono riguardare i disabili (il 40% riferisce di aver vissuto - direttamente o indirettamente - situazioni di isolamento/diverso trattamento) o gli omosessuali. Da non sottovalutare anche la componente aggressività-violenza, che si manifesta anche nei luoghi di lavoro: il 44,7% dice di avere subito minacce verbali, il 51% tentativi di aggressioni fisiche. Tutti questi fattori di disagio si ripercuotono sul benessere psicologico. I questionari hanno evidenziato quattro aree sintomatiche, a carico in prevalenza delle donne. Tra gli intervistati il 23,4% denuncia sintomi ansiosi, il 34% depressivi, il 27,7% psicosomatici, il 44,7% disturbi del sonno. E allora come se ne esce? I lavoratori e le lavoratrici, sintetizza la dottoressa Piacenza, chiedono più “tempo, coinvolgimento e comunicazione”. 

Mauro Cereda 
 

( 10 luglio 2024 )

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