Mercoledì 29 gennaio 2025, ore 0:34

Riforme 

Referendum, i verdetti della Consulta 

Semaforo rosso della Corte Costituzionale al quesito referendario sulla legge che prevede l'autonomia differenziata. La Consulta lo ha giudicato inammissibile rilevando che ”l'oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari. Ciò pregiudica la possibilità di una scelta consapevole da parte dell'elettore”. Il referendum ”verrebbe ad avere una portata che ne altera la funzione, risolvendosi in una scelta sull'autonomia differenziata, come tale, e in definitiva sull'art. 116, terzo comma, della Costituzione; il che non può essere oggetto di referendum abrogativo, ma solo eventualmente di una revisione costituzionale”. La sentenza sarà depositata nei prossimi giorni. Immediate le reazioni politiche. Nella maggioranza soddisfatta la Lega, in particolare il Ministro Calderoli; mentre il Governatore del Veneto Zaia auspica un confronto serio con le opposiizoni. Forza Italia e Noi Moderati parlano di "logica decisione della Corte costituzionale, che aveva indicato i punti della legge da correggere: lo faremo in Parlamento”. Per le opposizioni ”i giudici costituzionali non hanno ritenuto fattibile un referendum abrogativo su un provvedimento sostanzialmente già smantellata da una loro precedente pronuncia”.
L’autonomia differenziata è divenuta legge nel giugno dello scorso anno. In 11 articoli definisce le procedure legislative e amministrative per l'applicazione del terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione. A novembre i giudici della Consulta hanno ravvisato l'incostituzionalità di sette profili del provvedimento, accogliendo parzialmente i ricorsi di quattro Regioni guidate dal centrosinistra (Campania, Puglia, Sardegna e Toscana) che hanno impugnato il ddl Calderoli. La legge prevede che le richieste di autonomia partano su iniziativa delle stesse regioni, sentiti gli enti locali. Sono 23 materie indicate nel testo, tra cui tutela della salute, istruzione, sport, ambiente, energia, trasporti, cultura e commercio estero. Quattordici sono quelle definite dai Lep (Livelli essenziali di prestazione). La concessione di una o più "forme di autonomia" è subordinata alla determinazione proprio dei Lep, ossia i criteri che determinano il livello di servizio minimo che deve essere garantito in modo uniforme sull'intero territorio nazionale. La determinazione dei costi e dei fabbisogni standard avverrà a partire da una ricognizione della spesa storica dello Stato in ogni Regione nell'ultimo triennio. Ed è proprio sui Lep, uno dei perni della legge, che è intervenuta la Consulta. Tra i profili ritenuti incostituzionali c'è la previsione che sia un decreto del presidente del Consiglio dei ministri a determinare l'aggiornamento dei Livelli essenziali di prestazione. Bocciato anche il conferimento di una delega legislativa per la loro determinazione senza idonei criteri direttivi con la conseguenza che - secondo la Consulta - la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo limitando il ruolo costituzionale del Parlamento. Ritenuta incostituzionale anche la possibilità che si trasferiscano materie o ambiti di materie (scuola, energia, trasporti, commercio estero e ambiente) mentre la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del principio di sussidiarietà. Dai giudici arriva, inoltre, lo stop alla possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l'andamento dello stesso gettito perché ””potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti che - dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all'esercizio delle funzioni trasferite non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni”. A finire nel mirino anche la ”facoltatività” piuttosto che la ”doverosità” per le regioni destinatarie della devoluzione del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con ”conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica”.
Sono cinque i quesiti referendari di cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l'ammissibilità. Hanno avuto il via libera quello per ridurre da 10 a 5 anni i tempi per gli extracomunitari per ottenere la cittadinanza mentre gli altri quattro interessando materie relative al lavoro e riguardano job act, contratti a termine e infortuni.
Entrando nel dettaglio, il referendum sulla cittadinanza punta al dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario ai fini della presentazione della domanda di concessione della cittadinanza da parte dei maggiorenni. Tra i promotori +Europa. La Corte ha dato via libera anche ai quattro quesiti sul lavoro, proposti dalla Cgil. Nel primo si chiede l'abrogazione della disciplina sui licenziamenti del contratto a tutele crescenti del Jobs act. In particolare, si vuole cancellare le norme sui licenziamenti che consentono alle imprese di non reintegrare una lavoratrice o un lavoratore licenziata/o in modo illegittimo nel caso in cui sia stato assunto dopo il 2015. Il secondo quesito riguarda la cancellazione del tetto all'indennità nei licenziamenti nelle piccole imprese. L'obiettivo è innalzare le tutele per chi lavora in aziende con meno di quindici dipendenti eliminando il limite massimo di sei mensilità all'indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato. Mentre il terzo punta all'eliminazione di alcune norme sull'utilizzo dei contratti a termine. Infine, l'ultimo quesito riguarda l'esclusione della responsabilità solidale di committente, appaltante e subappaltante negli infortuni sul lavoro. In particolare, con il referendum si vogliono tagliare le norme che impediscono, in caso di infortunio sul lavoro negli appalti, di estendere la responsabilità all'impresa appaltante.
Il referendum sul Jobs act, promosso dalla Cgil e sostenuto da gran parte dei dirigenti Dem, agita le acque nel centrosinistra, visto che la legge è stata approvata sotto il Governo Renzi. ”Il referendum rischia riaprire ferite del passato. Fin dall'inizio ho dichiarato che non l'avrei sostenuto”, ha detto il senatore del Pd Alessandro Alfieri, esponente di Energia popolare. Che osserva: ”La segretaria ha sostenuto che non era in Parlamento quando è stata approvata quella legge. Rispetto la sua scelta. Mi limito a sottolineare che allora praticamente tutta la dirigenza del Pd votò il Jobs act. Anche molti dei principali sostenitori di Elly Schlein al congresso”.
Giampiero Guadagni

( 21 gennaio 2025 )

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