Giovedì 30 gennaio 2025, ore 6:19

Tarquinia

Nuove frontiere della ricerca archeologica

di ELIANA SORMANI

Gli Etruschi, sono uno dei popoli antichi dell’area Mediterranea che riesce a suscitare ancora oggi curiosità e interesse, sia da parte degli studiosi come da parte dei neofiti, vuoi per la sua profonda religiosità, vuoi per il suo stretto legame con il mondo romano e vuoi per la sua ancora misteriosa origine. Si tratta di un popolo autoctono o discendente da gente proveniente dall’A natolia, come affermano antiche testimonianze di storici greci quali Erodoto?

E, ancora, a quale periodo si può fare risalire la sua presenza nella penisola italica? Poco alla volta alcuni di questi misteri si stanno svelando e questo grazie soprattutto agli studi che da ormai quarant’anni l’U niversità di Milano in collaborazione con diversi centri internazionali di ricerca, tra cui l’Università di Cambridge, sta conducendo all’interno della Civita di Tarquinia, uno dei principali centri dell’Etruria.

Studi che nascono da un ambizioso progetto intrapreso a partire dal 2015 che vede il coinvolgimento di numerose discipline non solo umanistiche ma anche scientifiche come la Geoarcheologia, l’Antropologia Fisica, la Criminologia, la Patologia, la Osteobiografia, che si avvalgono anche di analisi isotopiche di animali, piante e del loro DNA.

Ad essere oggetto di questi studi complementari recentemente sono stati sei scheletri (4 di sesso femminile e 2 di sesso maschile), scelti tra venti ritrovati sepolti nell’area sacra di Tarquinia, dunque in punti particolari intorno alla “città dei vivi” e non all’interno delle necropoli. Tutti i soggetti sono stati ritrovati sotto una coltre di terra contrassegnata all’esterno da piccole pietruzze bianche che ne indicavano la presenza, non possedevano un corredo funebre, che invece accompagnava i defunti nelle necropoli, la presenza tuttavia, almeno in un caso, nella terra vicino al corpo di una gemma, che ricorda una delle fatiche di Eracle e di alcune olle incastonate in un muro sovrastante lega il contesto tarquinese con l’I talia meridionale e con la colonizzazione ellenica dell’Occidente.

A presentare gli importanti risultati di questi studi si è tenuta il 15 gennaio scorso una conferenza dal titolo “Sei personaggi in cerca del loro vissuto” presso la Fondazione Rovati, con la partecipazione di alcuni studiosi (Giovanna Bascasco Gianni, Simon Stoddart, Matilde Marzullo, Cristina Cattaneo, Lucia Biehler Gomez), che direttamente stanno partecipando al progetto, anticipando una mostra che a breve si inaugurerà nel apogeo del museo milanese, dedicata proprio alla città di Tarquinia e alla sua sfera religiosa.

Tarquinia, dichiarata nel 2004 Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco insieme a Cerveteri, è famosa per le sue tombe dipinte ritrovate all’in terno delle sue necropoli. Centro degli studi interdisciplinari non sono state tuttavia le necropoli, ma la “città dei vivi” dove è stato individuato un complesso monumentale, che permette di seguire la storia del territorio dalle sue origini (età del ferro, IX/VIII sec. a.C:) per oltre dieci secoli, a partire da quando la comunità si aggrega sul pianoro e le necropoli, rappresentate da urne iconiche iniziano a circondarla, mentre altri siti intorno alla civita diventano insediamenti per il controllo del territorio tra il mare e la città medesima. Insediamenti che all’inizio dell’età del ferro erano accomunati tutti dal fatto di voler aggregarsi intorno ad un luogo particolare e importante dal punto di vista simbolico per abbandonare quei disagi che avevano incontrato nell’età del bronzo. Alla fine del IX secolo risale un eccezionale ritrovamento nell’area archeologica: in prossimità di una cavità naturale, che oggi si sa essere il fulcro intorno al quale la comunità si raccoglieva, viene deposto un bambino epilettico, primo individuo ritrovato sepolto in questa metropoli. Il ritrovamento è stato una sorpresa, sia perché risale ad un periodo in cui gli individui venivano cremati nella necropoli e perché è stato ritrovato proprio vicino alla cavità. Studi recenti sul cranio del bambino hanno rilevato la presenza di lesioni riconducibili ai sintomi dell’epilessia, malattia definita in passato morbo sacro capace di mettere in contatto con la sfera divina. Le analisi scientifiche rafforzano così le informazioni presenti nelle fonti letterarie in cui si parla di un bambino, Tages, che nel territorio della città di Tarquinia saltò fuori improvvisamente dalla terra davanti a Tarconte, il fondatore della città, mentre stava arando una zolla. Si racconta di un bambino dai capelli bianchi, che vive pochissimo e possiede un’infinita saggezza tanto da trasmettere a Tarconte i principi della religione etrusca. La cosa straordinaria è che a distanza di tempo due frammenti di ceramica attica, ritrovati uno vicino alla cavità naturale e uno vicino al corpo del bambino, hanno permesso di ricomporre la parola “terela” che è affine alla parola greca “téras” che significa “mostrum” in latino cioè “evento eccezionale”, mettendoci di fronte alla memoria continuata nel tempo con lo scopo di conservare un messaggio scolpito nella memoria della comunità. Tutto questo porta inoltre a ipotizzare che la sepoltura in un’area sacra iniziasse a prendere corpo evidenziando all’interno della città una zona dedicata alla vita religiosa. Nel periodo metallizante in quest’area iniziano a sorgere delle costruzioni in muratura che delimitano il luogo monumentale lasciando testimonianze relative anche alle relazioni di Tarquina con con altri popoli, in particolare con il mondo scandinavo, come con il mondo del Mediterraneo orientale, come dimostrano le importazioni di tecniche murarie che vengono dal vicino oriente. La pianta del complesso monumentale fa presupporre la presenza di maestranze provenienti da Oriente. Un altro elemento significativo di questo periodo è il ritrovamento di un’ iscrizione che si può attribuire ad un epiteto di Eracle relativo alla sua apoteosi e traducibile con “Eracle dalla bella vittoria” ritrovato anche sugli specchi etruschi più tardi, facendo emergere nel sito monumentale reperti che ricordano sia la storia sacra di Talete come di Eracle, che è il capostipite del fondatore di Tarquinia, Tarconte. Questa corrispondenza, che si può vedere sugli affreschi ritrovati in un’immagine in cui è rappresentato Eracle che ha tra le braccia un bambino calvo (carattere della vecchiaia), riunisce così le due tradizioni quella locale e quella orientale.

Alcuni secoli dopo, all’inizio del VI secolo, la comunità decide, come si evince dalla pianta di Tarquinia, di costruire il proprio tempio poliadico dedicato a Tarconte, il fondatore della città, come emerge da un’iscrizione latina che lo nomina. Dalla ricerca emergono così due elementi fondamentali per la memoria della città: da un lato un bambino nato vecchio sepolto vicino alla cavità naturale e dall’altro Tarconte che appartiene alla cerchia di Eracle che proveniva dalla Libia, dal vicino Oriente. I ritrovamenti del complesso monumentale ci aiutano così a cogliere l’ori gine di Tarquinia come della sua religione. Una religione fondante per la civiltà che in qualche modo risolve il dilemma tra la provenienza locale degli etruschi e la loro provenienza dal vicino oriente: in questo modo sembra quasi che la figura di Tagete sia rappresentativa dell’autoctonia mentre quella di Tarconte, legato a Eracle, della sua provenienza da Oriente. Lo studio complementare di più discipline degli scheletri ritrovati all’interno di questo complesso conferma ulteriormente la presenza a Tarquinia di genti provenienti dall’esterno e questo grazie anche allo studio della loro alimentazione. La combinazione di dati ambientali e alimentari riesce a chiarire la loro provenienza, evidenziando una differenza tra loro, poiché alcuni risultano essersi alimentati con carne, altri pesce, e,o vegetali, lasciando aperti nuovi dubbi che solo lo studio di una campionatura più ampia potrà in futuro sciogliere.

Lo studio chimico della acqua presente nell’alimentazione permette di studiare anche la mobilità di questi individui, perché ciò che si mangia e ciò che si beve è legato al territorio in cui si vive; sulla base del fatto che l’acqua di Tarquinia è più calcarea di altre acque è emerso che 4 individui sono probabilmente provenienti da questo territorio, mentre altri 2 non erano nati a Tarquinia e in particolare uno, sulla base di ulteriori studi di DNA, proviene probabilmente dal Baltico (ciò giustifica anche la presenza di ambra in questo territorio), o meglio ha un antenato proveniente dalla Scandinavia. Lo studio locale della civiltà presenta dunque la presenza eccezionale, pari al 30% degli Etruschi, di individui proveniente da fuori.

Gli studi radiografici delle ossa hanno permesso infine di fare approfondimenti anche sulla natura della morte di questi soggetti e sulle loro condizioni di vita apportando notevoli contribuiti alla conoscenza delle abitudini di vita soprattutto delle donne etrusche e sulle dinamiche sociali presenti nella comunità di Tarquinia e questo grazie anche all’a nalisi di presenza di tracce nelle ossa di uno stress metabolico presente durante la crescita e di uno stress meccanico dovuto al lavoro. Su tutti e sei gli scheletri sono stati rilevati dunque molti segni di malnutrizione e tracce di stress meccanico in particolare nelle donne che portano a ipotizzare condizioni di vita molto più difficili rispetto ad individui femminili romani presenti a Milano nel medesimo periodo. La presenza di stress meccanico nelle donne a Tarquinia risulta nel 70% dei casi mentre nelle donne a Milano è presente solo nel 20% dei casi esaminati. In merito alle ragioni della morte di questi scheletri si ipotizza una morte dovuta a trauma meccanico e questo sulla base dello studio dei segni rilevati nelle ossa, in quanto 4 su 6 presentano segni di lesioni mortali avvenuti al momento della morte dovuti a botte o urti e segni di fendenti, anche se non si sa se siano i traumi provocati da incidenti o volontariamente da terzi o da se stessi. Si potrebbe confermare così l’i potesi che si tratti di morti legate a riturali religiosi.

Ovviamente ancora molto c’è da studiare e da approfondire soprattutto tenendo conto che la campionatura presa in esame è molto limitata, ma onde evitare che parte del materiale venga distrutto attraverso gli esami scientifici, si ritiene necessario procedere con molta cautela, preservando parte del materiale preziosissimo nella speranza che in futuro nuovi strumenti possano aiutare ad ottenere quelle risposte che ancora mancano.

( 28 gennaio 2025 )

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