Unità o diaspora dei cattolici italiani? La domanda è quasi retorica, oltreché fuori luogo, perché ormai il pluralismo politico ed elettorale dei cattolici italiani è un dato largamente acquisito e consolidato. Del resto, con il tramonto della Democrazia Cristiana - ormai oltre 30 anni fa - l’unità politica dei cattolici, se mai fosse esistita, è diventata esclusivamente oggetto di ricerca storica.
Eppure, al di là di questa scontata riflessione, è pur vero che il ruolo, l’iniziativa, la funzione e la stessa “mission” dei cattolici italiani non sono affatto tramontati. E questo per la semplice ragione che la cultura politica dei cattolici italiani, seppur nella loro diversa e multiforme espressione, conserva una bruciante attualità e modernità nell’attuale contesto pubblico italiano. E, non caso, non c’è un solo argomento in cima all’agenda della politica italiana che non individui nella ricchezza e nella fecondità della cultura cattolico democratica, popolare e sociale una continua fonte a cui fare riferimento. E, malgrado tutto ciò, non si intravede all’orizzonte la presenza di un partito di ispirazione cristiana o che affonda le sue radici nell’umanesimo popolare cristiano. Ma, questo, è un tema ancora diverso rispetto alla modernità di una cultura politica che non è stata affatto archiviata dopo la fine della Democrazia Cristiana e di tutti i partiti che sono succeduti alla stessa Democrazia Cristiana.
Ora, a fronte di questa concreta situazione, è abbastanza evidente - anche e soprattutto dopo i contenuti e gli inviti espliciti partiti dalla recente Settimana sociale dei cattolici di Trieste - che non
si può più rimandare una rinnovata presenza dei cattolici nella vita pubblica contemporanea. Una presenza utile per il metodo e per il merito che storicamente caratterizza la cultura politica dei cattolici italiani. Perché ci sono alcune costanti di fondo a cui non si può rinunciare, soprattutto nell’attuale fase della politica italiana, attraversata purtroppo da quella radicalizzazione della lotta politica che era e resta una prassi nefasta per la qualità della nostra democrazia, la credibilità delle nostre istituzioni e la stessa efficacia dell’azione di governo. E il metodo dei cattolici democratici, popolari e sociali si può riassumere con alcuni titoli, peraltro indispensabili e necessari in ogni stagione autenticamente democratica: dal rispetto dell’avversario alla cultura della mediazione, dalla cultura di governo alla valorizzazione del pluralismo, dalla centralità del Parlamento alla valorizzazione della sintesi, dalla costruzione di un compromesso alto alla ricetta riformista.
Insomma, una gamma di elementi e di tasselli che contribuiscono a dar vita ad un mosaico politico e progettuale squisitamente democratico e costituzionale. E, per quanto riguarda il merito, è altrettanto evidente che il progetto politico dei cattolici democratici, popolari e sociali continua ad essere centrale, soprattutto in momenti come quelli contemporanei dove si discute anche di riforma istituzionale e costituzionale. E proprio il capitolo della democrazia, cioè della conservazione e della valorizzazione della qualità della democrazia italiana, era e resta al centro della riflessione politica e culturale della tradizione del cattolicesimo politico italiano.
Ma anche sul terreno della cosiddetta giustizia sociale il contributo dei cattolici è sempre stato determinante nonché originale.
Ecco perché, anche in una stagione dove è palese l’assenza concreta e politica dei cattolici popolari e sociali e della rispettiva cultura politica, è innegabile che dopo l’invito alla partecipazione attiva lanciata da Papa Francesco a Trieste e la puntuale riflessione del Presidente della Repubblica Mattarella sulla specificità culturale dei cattolici italiani, gli stessi cattolici non possono limitarsi a contemplare o a commentare ciò che capita nella nostra società.
Abbiamo, cioè, quasi il dovere morale di agire e di saper di nuovo legare nella società contemporanea il pensiero con l’azione.
Giorgio Merlo