Una mossa giovedì pomeriggio l’ha fatta Matteo Renzi. Dopo il colloquio con il capo dello Stato, il leader di Iv ha detto no ad un nuovo incarico a Conte ter, a meno che Pd e M5S non dicano chiaramente di volere ancora Italia viva nella maggioranza e di accettare un confronto di merito sul programma. L’auspicio di Renzi è un incarico esplorativo ad una personalità terza per verificare se ci sono margini. Ma la vera preferenza sembra essere per un governo istituzionale. E non è sfuggito il fatto che nella lunga dichiarazione alla stampa abbia nominato Mario Draghi.
Per il Pd, invece, Conte resta l’unico punto di sintesi possibile (anche se Zingaretti ha parlato esattamente di “punto di sintesi più avanzata”, una sfumatura di linguaggio politico che sembra aprire ad alternative).
Venerdì pomeriggio al Quirinale saliranno il centrodestra in delegazione unica ma non compatta: Forza Italia apre alle larghe intese, la Lega non le esclude più ma preferisce il voto anticipato, unica opzione per Fratelli d’Italia.
Ma i riflettori saranno accesi soprattutto su quanto dirà il Movimento 5 Stelle, diviso al proprio interno tra chi vorrebbe in qualche modo riannodare il dialogo con Renzi e chi vuole metterci una pietra sopra. La componente che fa riferimento a Di Battista, forte proprio al Senato dove i numeri sono più deboli, potrebbe rivelarsi decisiva nel chiudere le porte.
Insomma, la soluzione della crisi sembra essere più lontana. E lo spettro del voto anticipato non si è ancora dissolto.