Venerdì 3 maggio 2024, ore 23:04

Attualità

Inflazione e pandemia, povertà individuale in crescita tra il 2019 e il 2023

Il biennio della pandemia e quello della guerra in Ucraina e della conseguente cavalcata dell’inflazione hanno prodotto danni enormi, colpendo soprattutto le famiglie a basso reddito. Secondo il Rapporto sull'indice di benessere, Bes, realizzato dall’Istat, la povertà assoluta dal 2019 al 2023 presenta una crescita dell'incidenza individuale. Nel 2019 era scesa al 7,6% in concomitanza dell'introduzione del Reddito di cittadinanza, trasferimento monetario non indicizzato all'inflazione come le altre prestazioni socio-assistenziali, nel 2020, l'incidenza riprende a crescere, arrivando al 9,1% e rimanendo stabile nel 2021. Nel 2022, l'incidenza torna ad aumentare al 9,7%, in larga misura a causa della forte accelerazione dell'inflazione, che ha colpito in particolar modo le famiglie meno abbienti e rimane sostanzialmente stabile con 9,8% nel 2023.
In generale, il report Istat ci restituisce la fotografia di un’Italia ancora indietro rispetto all’Eiropa, per quanto riguarda la maggior parte degli indicatori del benessere economico. Fanno eccezione due indicatori in cui il nostro Paese presenta dati migliori delle media Ue: la grave deprivazione materiale e sociale (4,5% in Italia, 6,7% nel'Ue27) e il sovraccarico del costo dell'abitazione (6,6% in Italia e 8,7% nel'Ue27 ). Ttutti gli altri indicatori disponibili, sottolinea l’Istat, “descrivono, invece, una condizione peggiore della media Ue27”. I gap maggiori, rileva l'Istituto di Statistica, riguardano la bassa intensità lavorativa (9,8% in Italia e 8,3% nel'Ue27) e il rischio di povertà (20,1% in Italia e 16,5% nel'Ue27). 
“Divari molto ampi - prosegue Istat - riguardano le misure del dominio Lavoro e conciliazione dei tempi di vita: in Italia nel 2023 il tasso di mancata partecipazione al lavoro (14,8%) supera di quasi sei punti percentuali la media Ue27 (8,7%); il tasso di occupazione è di 9,1 punti percentuali più basso di quello medio europeo (75,4%) e la percentuale di persone in part time involontario (10,2% nel 2022), nonostante in calo da quattro anni, è quasi il triplo della media Ue (3,6%). 
Il rapporto Bes conferma altri ritardi noti. L’Italia è il fanalino di coda in Ue per quanto riguarda istruzione e formazione. Secondo l’Istat, tutti gli indici di Istruzione e formazione posizionano l'Italia più in basso della media Ue27. Le distanze maggiori riguardano la quota di persone di 25-34 anni che hanno acquisito un livello di istruzione terziario (43,1% nell'Ue27; 30,6% in Italia) e la maggiore incidenza di giovani che non lavorano e non studiano (Neet; 16,1% in Italia, 11,2% nell'Ue27 nel 2023). Diffusi ritardi rispetto all'Europa si ravvisano anche nel dominio Innovazione, ricerca e creatività dove nessuno dei sei indicatori disponibili per il confronto si avvicina alla media europea. In particolare la quota di Pil investito in R&S in Italia (1,43% nel 2021) è decisamente più bassa della media Ue27 (2,27%) e l'incidenza dei lavoratori della conoscenza sull'occupazione totale mostra un gap di -7,6 punti percentuali rispetto alla media Ue27 (25,4% nel 2022).
Elementi di allarme arrivano anche dalla sanità- Nell'ultimo anno, rileva l’Istat,  sono aumentate le migrazioni ospedaliere, la quota di medici di medicina generale con un numero di assistiti oltre la soglia massima e la rinuncia a prestazioni sanitarie ritenute necessarie.
Ilaria Storti

( 17 aprile 2024 )

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