Venerdì 17 maggio 2024, ore 12:53

Lutto nella letteratura

Addio a Paul Auster

di ENZO VERRENGIA

Paul Auster si è dissolto come le nuvole di fumo che avvolgono personaggi e lettori di “Smoke”, il romanzo da cui trasse il film del 1995, che diresse di persona insieme a Wayne Wang. E diafana eppure densa era la sua personalità narrativa, da quando con la “Trilogia di New York” propose un’articolazione inedita dello storytelling, in cui le ombre assumevano contorni più marcati delle presenze concrete.

Si vedano i postumi dell’11 settembre, che per lui costituì una finestra aperta sull’impossibile per la coscienza collettiva negli Stati Uniti. L’eco dell’orrore supremo cessa di costituire una prerogativa del thriller fantapolitico per invadere i territori del mainstream, della scrittura d’autore. La quale si applica quasi per antonomasia a Paul Auster, ritenuto correttamente il più europeo dei narratori contemporanei d’oltreoceano. Lui sull’11 settembre disse molto in termini diretti. Né poteva essere diverso per un newyorkese che auscultava e raccontava il cuore pulsante della sua città. Uno dei suoi libri migliori, prima di “Baumgartner” , l’addio su pagina, è certamente “Uomo nel buio”, un cantico multisfaccettato di ciò che si vede da quella finestra aperta dagli attentati. Sia dall’interno della quotidianità precedente all’esterno di quanto avvenne dopo, sia, al contrario, dalle differenti possibilità che si trovavano fuori dal nostro piano di realtà prima del fatto a ciò che è oggi il vivere del dopo 11 settembre.

Testimone di quest’esperimento in prosa avanzatissimo è August Brill, un vecchio intellettuale ritiratosi nel Vermont, dalla figlia, per superare i postumi di un incidente automobilistico. Difficile, anzi impossibile, tenere a freno la mente ipercinetica di un corpo convalescente. Brill esplode di vissuto. Alla sua autobiografia si aggiunge quella della figlia, Miriam, reduce da un matrimonio malriuscito. Soverchiante, poi, il dolore di Katya, unigenita della donna e dunque nipote del protagonista. La ragazza, ventiquattro anni, ha perduto il suo compagno, Titus, che si chiamava come il figlio di Rembrandt e ne ha condiviso la morte prematura.

Nel buio delle notti, Brill combatte l’insonnia raccontandosi una storia che si trova, appunto, oltre la finestra dell’11 settembre. La mente del vecchio intellettuale crea una realtà parallela in cui l’attentato alle Torri Gemelle non è mai avvenuto. Però gli Stati Uniti sono devastati da una guerra civile scoppiata dopo le elezioni del 2000, controverse per i ritardi e le contestazioni nell’accertamento del risultato.

Il protagonista di Brill è un prestigiatore newyorkese, Owen Brick, che deve uccidere l’uomo che ha partorito quest’America alternativa dove tutti sono in guerra con tutti. La vittima predestinata si chiama Augustus Brill e fa lo scrittore.

Nel primo quarto di “Uomo nel buio” sono forti le reminiscenze delle allucinazioni percettive di Philip K. Dick e William Burroughs. Poi, man mano che l’intreccio si dipana, appare un rimando ben più europeo (nello spirito di Auster): Italo Calvino.

La pluralità del reale di Augustus Brill, infatti, non deriva da incertezze paranoidi su basi caratteriali esaltate da farmaci e droghe. Piuttosto, agisce uno scetticismo filosofico su tutto quanto si dà per univoco. Negli Stati Uniti immaginari di Owen Brick si cita Giordano Bruno, che, fra gli altri, teorizzò infiniti mondi simili e simultanei.

Nelle affabulazioni di Auster convergono purtroppo le sue tragedie personali: un figlio e una nipote morti per droga. Fagocitate dalle ombre di New York, dove forse adesso si aggira anche Auster.

 

 

( 1 maggio 2024 )

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