Alla fine la maggioranza Ursula è salva, la vittoria dei Popolari è netta, Ursula von der Leyen è più vicina al suo bis alla Commissione Ue. Tutto deciso dunque? In effetti, le elezioni europee registrano l'ondata sovranista ma non determinano il sovvertimento degli equilibri nelle istituzioni comunitari. Almeno in questa prima fase a caldo. L'estrema destra ha travolto Emmanuel Macron in Francia e in Germania ha umiliato Olaf Scholz e il suo Spd. I risultati del voto in Italia consolidano anche quelle destre considerata a Bruxelles meno estremiste. Eppure il terremoto sovranista alla fine a livello Ue non c'è stato.
La maggioranza composta da Ppe, Socialisti e Renew, si attesta attorno ai 400 seggi, con un margine piuttosto netto rispetto alla soglia minima di 360. Ma non sempre sufficiente al Pe. Un margine che sembra allontanare l'ipotesi di un dialogo con Giorgia Meloni. "Invitiamo i Socialisti e Renew ad un'alleanza pro-europea", è la mano tesa del leader del Ppe, Manfred Weber, e poi della stessa von der Leyen, convinta che si debba continuare con una piattaforma pro-Ue, pro-Ucraina e pro-Stato di diritto. Teoricamente i tre partiti filo-Ue possono fare a meno di qualsiasi supporto esterno. Il Ppe potrà contare su 185 seggi, S&d su 137, i Liberali (che hanno perso ventidue eurodeputati) su 79. Il gruppo dei Conservatori e Riformisti è avanzato di poco (da 68 a 72) a causa delle cattive performance di Vox in Spagna e del PiS in Polonia. Il gruppo Identità e Democrazia (passato da 59 a 58 seggi, ma nel conteggio ora sono esclusi i 17 membri di Afd) ha risentito della caduta della Lega rispetto al 2019. Dall'altra parte dell'emiciclo, la Sinistra ha retto il colpo passando da 37 a 36 seggi.
La vera novità è il grande fronte dei non iscritti da 98 seggi, che dà vita ad un insieme estremamente eterogeneo, che certamente non resterà nel limbo di chi non appartiene a nessun gruppo. Tanto per fare alcuni esempi, gli orbaniani di Fidesz bussano alla porta di Ecr, i tedeschi di AfD potrebbe tornare in Id, l'opposizione ungherese si avvia ad entrare nel Ppe assieme al partito degli agricoltori olandesi. In questo quadro il Ppe, pressato da Scholz e Macron, non può più giustificare alcun dialogo con la destra, a cominciare da quella guidata da Giorgia Meloni. Manfred Weber, in merito ad un eventuale dialogo con Ecr, non si è sbilanciato ma ha chiarito due punti: qualsiasi ipotesi di alleanza partirà da Ppe, S&D e Renew.
Allo stesso tempo, ha avvertito che l'esito delle elezioni dovrà essere rispettato nella distribuzione dei top jobs. In altre parole, i partiti filo-Ue dovranno concordare sulla scelta di von der Leyen e Roberta Metsola per la guida della Commissione e per quella (almeno per la prima metà della legislatura) dell'Eurocamera. I Socialisti, con il vice presidente Pedro Marques, hanno ammesso la sconfitta e hanno fatto una netta apertura alla Spitzenkandidat precisando tuttavia che "mai saranno in coalizione con l'ultradestra di Ecr e Id". Da giorni, invece, il Ppe tornando sui suoi passi ha riaperto un canale con i Verdi.
Affidarsi solo ai tre partiti dell'asse europeista, per von der Leyen, resta rischioso a causa dei franchi tiratori, che il 18 luglio prossimo potrebbero manifestarsi a Strasburgo in tutta la loro pericolosità: nel Ppe calcolano una quota del 15% di voti in meno nel segreto dell'urna. La sponda dei Verdi per blindarsi sarebbe decisiva ed eliminerebbe qualsiasi torsione a destra della maggioranza, consolidando al tempo stesso il sostegno all'Ucraina, pilastro di tutti i partiti filo-Ue.
Rodolfo Ricci