Venerdì 22 novembre 2024, ore 21:30

Welfare

Reddito di base, la verità sul caso della Finlandia

di Ester Crea

Reddito di cittadinanza, reddito di base, reddito minimo garantito, reddito di inclusione: il bisogno di trovare risposte alla povertà crescente, alla disoccupazione, alla precarizzazione del lavoro e ai bassi salari, si declina in diversi strumenti, non sempre propriamente definiti e su cui spesso si tende a fare confusione. In Italia la proposta più avanzata è senz’altro quella del M5S, ma siamo ancora ben lontani dall’ipotesi concreta di messa in pratica. A livello europeo, invece, ha destato grande interesse l’esperienza finlandese di un reddito di base avviata lo scorso anno e destinata a conludersi a fine 2018. Qualche giorno fa alcuni giornali hanno anticipato la decisione di Helsinki di non proseguire nell’esperimento. Una notizia che rischia però di aggiungere confusione alla confusione.

Nel tentativo di fare chiarezza , Conquiste ha contattato Pirkko Peltonen, giornalista e scrittrice finlandese, che in primo luogo smentisce lo stop alla sperimentazione. “La notizia non è esatta: nessuno stop è stato deciso - avverte -, non ce n'era tra l'altro alcun bisogno perchè la sperimentazione finisce comunque alla fine di quest'anno. Cosa succederà dopo, dipenderà dal nuovo governo che uscirà dalle elezioni previste ad aprile 2019. E' probabile - ma non "deciso" - che la sperimentazione non verrà rinnovata. Attualmente stanno discutendo su nuovi modelli di riforma del sistema di welfare. Del resto, non solo in Finlandia, ma in tutta la Scandinavia, le disuguaglianze sociali stanno crescendo mentre il nostro celebre sistema del welfare è entrato in crisi. Servono nuovi modelli. Il reddito di base finlandese è un tentativo in questa direzione”.

Ma come funziona?

L’esperimento ha preso avvio il primo gennaio 2017 e avrà fine il 31 dicembre 2018. I beneficiari sono 2 mila persone scelte a caso tra disoccupati dai 25 ai 58 anni (che già percepiscono un sussidio di disoccupazione ed altri contributi), ai quali vengono corrisposti 560 euro mensili netti. Costoro formano il “gruppo di sperimentazione”. Trattandosi di uno studio sociologico, viene contemporaneamente monitorato anche un “gruppo di confronto”, cioè, altre 2mila persone in simili condizioni di vita, ma non inserite nella sperimentazione. Alla fine della sperimentazione, inizio 2019, saranno fatte le valutazioni: se, cioè, l’occupazione è aumentata di più presso coloro che hanno percepito il reddito di base, o meno.

Cos’è che non funziona più del tanto celebrato modello scandinavo?

Il nostro sistema consiste in una miriade di contributi, sussidi, aiuti sociali variamente normati, variamente accessibili. Dai contributi per la disoccupazione ai sostegni per il reddito minimo (simile al reddito d’inclusione solo ora introdotto nel sistema italiano), ai sussidi per l’affitto, ai contributi per i disagiati, ai sostegni per gli studi e per la riqualificazione professionale ecc. Senza contare i contributi “universali” quali i copiosi “assegni” per i figli. La somma di tutti i provvedimenti del welfare alla nordica vuole evitare che vi siano cittadini sotto la soglia di povertà. Ma si tratta di una macchina assai complessa, e anche molto costosa. Soprattutto – così pensano i fautori della “sperimentazione” – non più confacente alle mutate condizioni nel mondo del lavoro. I sussidi legati ai periodi di disoccupazione mal si sposano – e mal si gestiscono - con i contratti di lavoro sempre più spesso precari, anche di pochi giorni o di poche settimane soltanto; l’obbligo di accettare il lavoro, anche se precario, proposto dal centro d’impiego, con la conseguente perdita del sussidio di disoccupazione, non incentiva il lavoratore e non sollecita mobilità e innovazione nel mercato del lavoro.

E il reddito di base offrirebbe una risposta a questi problemi?

Il reddito di base ha come scopo primario 1) quello di riformare il sistema del welfare in modo da renderlo più adatto alle nuove modalità del mercato del lavoro; 2) trasformare il sistema del welfare in modo da sollecitare la partecipazione e l’attivazione del singolo lavoratore (cioè: uscire da una logica assistenziale); 3) snellire e semplificare la macchina burocratica che gestisce il welfare. Chi oggi, in Finlandia, è entrato nel gruppo di sperimentazione del reddito di base percepisce 560 euro al mese esentasse. E questo sia che nel frattempo trovi un lavoro oppure no. In questi 560 euro sono stati inglobati gran parte dei sussidi di cui prima ha beneficiato (disoccupazione ecc.). Non gli bastano, certo, per vivere. Infatti, continua ad accedere ad alcuni sussidi “universali”, e il suo tenore di vita non cambia. Ma non deve più temere che, accettando un lavoro, perda il sussidio (e, quindi, farsi il calcolo “se mi conviene oppure no…”); non deve obbligatoriamente seguire i corsi di formazione; non deve obbligatoriamente accettare la proposta di lavoro del centro d’impiego. Se trova autonomamente un lavoro, se si inventa un lavoro, il reddito di base gli arriva ugualmente, ogni mese. La sfida vera che si sono posti i legislatori finlandesi è quella di sollecitare l’autoimprenditorialità del lavoratore, la sua capacità di auto-impegnarsi; in fondo: dargli la possibilità di trovare un senso nel proprio lavoro. E, con questo, anche, di dare una scossa al mercato del lavoro.

Con quali risultati fino ad oggi?

Se ne sa pochissimo, per ora. E ciò per decisa volontà di chi gestisce l’esperimento: interventi, interviste, attenzione mediatica potrebbero falsare i risultati, dicono. L’Inps finlandese non divulga i nomi del gruppo prescelto, i media ne hanno scovati pochi. C’è chi è entusiasta. Juha, 45 anni, padre di famiglia, da sei anni disoccupato, l’estate scorsa si è inventato una piccola impresa di vendita di cornici che piano piano comincia a marciare. “Per me - dice - il reddito di base su cui poter contare, è stato come provvedere il pugile di guanti adatti prima di salire sul ring”. Liisa, 56 anni, è contenta di poter ora tranquillamente accettare lavori anche di breve durata (fa pulizie in un ospedale), senza paura di perdere il sussidio: “Ogni mese, qualcosa di più mi resta in tasca.” Janne, operaio disoccupato di 35 anni, invece, non è per niente felice di trovarsi nel gruppo “prescelto”: “Con i 560 euro, comunque non campo. E se lavoro non c’è, non c’è! Male stavo e male resto.”

Cosa accadrà alla fine dell’esperimento?

Dipenderà dai risultati, e dipenderà dalle decisioni politiche. Oggi, la Finlandia è governata da una coalizione di centro-destra. La disoccupazione del Paese è sotto il 10%, le previsioni per la crescita del Pil viaggiano sui 3% annuali, ma le differenze tra la popolazione urbana e i vasti territori di campagna sono crescenti. Le prossime elezioni parlamentari si svolgeranno in aprile 2019. Giusto in tempo per capire se il reddito di base potrà risolvere qualcuno dei molti problemi del lavoro e delle disuguaglianze.

(Altri servizi oggi su Conquiste Tabloid)

( 26 aprile 2018 )

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