Dopo una trattativa di quasi 16 ore, i negoziatori del Parlamento e del Consiglio europeo hanno raggiunto un accordo sulla riforma del Patto di stabilità. L'Eurocamera ottiene qualche piccolo spazio in più per gli investimenti pubblici e più margini per deviare sui percorsi di spesa in caso di circostanze eccezionali. Le nuove regole partiranno subito: gli Stati dovranno presentare entro il 20 settembre di quest'anno i primi piani di spesa a quattro anni, estendibili fino a sette. Per dar spazio agli investimenti, il Pe ha ottenuto che venga scorporata la spesa nazionale relativa al cofinanziamento dei progetti finanziati dall'Ue dal conteggio complessivo della spesa pubblica. Inoltre, gli investimenti già avviati nelle aree prioritarie Ue come transizione climatica e digitale, sicurezza energetica e difesa saranno presi in considerazione nella relazione dalla Commissione sulla deviazione dai piani di spesa dando spazio agli Stati per evitare la procedura per disavanzo eccessivo.
L'Eurocamera ottiene anche che in caso di circostanze eccezionali capaci di determinare un impatto notevole sui conti si potrà chiedere di deviare dai piani di spesa concordati per un tempo definito ma che potrà essere prorogabile fino a un anno, anche più di una volta. Alla fine, comunque, si è arrivati a una mediazione tra le posizioni raggiunte a dicembre dai 27 Stati membri dell'Ue al Consiglio e all'Eurocamera rispetto alla proposta legislativa della Commissione europea dell'aprile scorso per rivedere dopo 25 anni le intese comuni sui conti pubblici europei. L'ultimo scoglio al negoziato era appunto la richiesta del Parlamento europeo di garantire maggior spazio per gli investimenti pubblici. Il margine di manovra dei 27 era però quasi nullo dopo il faticoso equilibrio raggiunto un mese fa, al termine di estenuanti trattative tra Paesi 'frugali' e non.
La riforma è incentrata su piani pluriennali di spesa sui quali gli Stati avranno autonomia, salvo per l'obiettivo di aggiustamento o 'traiettoria tecnica' che verrà calcolato dalla Commissione. Qui nel negoziato su pressante richiesta dei 'frugali' - Germania in testa - si sono aggiunte "salvaguardie" per impegnare i Paesi a un ritmo certo di riduzione del debito (dello 0,5 e dell'1% annuo per chi sfora rispettivamente il 60% e il 90% del rapporto debito/Pil) e del deficit pubblico (per portarlo all'1,5% del Pil, rispetto al 3% del Pil fissato dai trattati).
Rodolfo Ricci