Fumata 'grigia' sulla riforma del Patto di stabilità europeo: dopo l'interminabile negoziato nella notte tra giovedì e venerdì, un accordo non c'è. Ma grazie alle trattative ristrette e ai vari 'confessionali', verso le due del mattino l'intesa che dovrebbe sbloccare la partita è arrivata sull'asse Parigi-Berlino, per allargarsi a Roma e Madrid, e tradursi quindi in un nuovo testo di compromesso della presidenza di turno dell'Ue. "I progressi fatti testimoniano che c'è un riconoscimento che non siamo in una situazione normale, c'è una guerra in Europa", ha sottolineato il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, auspicando una conclusione "quanto prima".
Il cuore sta nei piani di spesa a 4 anni (estendibili a 7 anni), che andranno concordati dagli Stati con la Commissione europea sulla base di una traiettoria tracciata dall'esecutivo comunitario per mettere sotto controllo il debito pubblico. In sostanza i Paesi Ue spenderanno come meglio credono i fondi pubblici, ma stando dentro date traiettorie. La messa a terra delle nuove regole si è però arricchita di paletti: "salvaguardie", li hanno chiamati i tedeschi. L'obiettivo era quello di rassicurarli su un rientro credibile del debito pubblico e del disavanzo dei Paesi meno virtuosi, finiti oltre ogni soglia dopo pandemia, guerra in ucraina e ricadute su energia e inflazione.
Così, nei piani di spesa degli Stati il debito dovrà scendere dell'1% annuo per chi ha un debito oltre il 90% del Pil e dello 0,5% annuo per chi lo ha oltre il 60% del Pil (il tetto fissato del trattato di Maastricht) ma al di sotto del 90%. Sul deficit si chiede un calo anche per i Paesi già entro la soglia del 3% prevista dai trattati: affinché scenda al 2% per i meno indebitati (ma sopra il 60% del Pil) e all'1,5% per i Paesi ad alto debito (oltre il 90%). L'ultima svolta in partita è stata il tentativo di riaprire la procedura automatica per disavanzo eccessivo, che prevede un aggiustamento dei conti (strutturali, cioè al netto delle componenti cicliche e di interventi non ricorrenti) pari allo 0,5% del Pil per chi sfora il deficit del 3% del Pil. I Paesi ad alto disavanzo hanno cercato di far sì che si parlasse di aggiustamento "primario", ovvero senza contare anche gli interessi del debito, tema sensibile per tutti i Paesi che come l'Italia fanno i conti con un fardello importante.
I 'frugali' si sono rifiutati. Uscito dalla porta l'aggiustamento "primario" è rientrato dalla finestra ma solo come eccezione limitata: la Commissione nel valutare la procedura per deficit, secondo il nuovo compromesso spagnolo, terrà conto dell'aumento degli interessi sul debito tra il 2025 e il 2027 per "non compromettere l'effetto positivo del Pnrr". Sul punto è stata trovata un'intesa di massima: un accordo non è scontato, in sette gli Stati apparentemente contrari, ma non impossibile. A tutela degli investimenti figura l'ipotesi di considerare gli impegni presi per il Pnrr per avere l'estensione dei piani di spesa da 4 a 7 anni
Rodolfo Ricci