Condanna confermata in appello per l’ex presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva, considerato il candidato favorito 'tout court' per le prossime elezioni presidenziali del prossimo ottobre. La corte ha respinto il ricorso presentato dai legali del vecchio e carismatico leader ed ha inasprito la pena per corruzione e riciclaggio da nove anni e sei mesi a 12 anni e un mese. Per Lula sarà quasi impossibile ricandidarsi alle presidenziali per un terzo mandato (dopo i primi 2 dal 2003 al 2010), un evento che i suoi sostenitori considerano un golpe. Tra questi c’è sicuramente la segretaria generale dell’Ituc, Sharan Burrow, che in un comunicato diffuso alla vigilia della sentenza aveva lanciato un appello globale di solidarietà con l'ex presidente brasiliano. Per Burrow, il giudizio è in gran parte frutto della volontà delle élite di impedire a Lula di ricandidarsi e di distruggere la sua reputazione.
Comunque, non è ancora detta l'ultima parola. L’ex presidente del Brasile spera in una serie di ricorsi possibili che gli consentirebbero di arrivare all'iscrizione nelle liste elettorali prima della esecuzione della sentenza e magari evitare il carcere. "Questa provocazione brucia, ora voglio candidarmi come presidente della Repubblica" ha detto davanti ai molti sostenitori. "Possono fermare Lula, ma le mie idee sono ben salde nelle teste dei brasiliani".
Ex leader sindacale, Lula è considerato il padre del Brasile moderno. Imprigionato dalla dittatura militare, in seguito divenne il presidente di maggior successo nella storia del Brasile, sollevando 33 milioni di persone dalla povertà e facendo funzionare l'economia del Brasile per la gente comune. Tale è stata la sua popolarità che ha aiutato a eleggere il suo successore, la presidente Dilma Rousseff, nel 2010 e nel 2014.
Tuttavia, nel 2016, un gruppo di politici corrotti guidati da Michel Temer ha spodestato Dilma, prendendo il potere con un colpo di stato parlamentare. Da allora, Temer ha cercato di smantellare l'eredità sociale di Lula, inclusi gli emendamenti anti-sindacali al codice del lavoro, tagli agli investimenti pubblici, attacchi alla protezione sociale e persino il tentativo di legalizzare il lavoro forzato cambiando la definizione di schiavitù.
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