Non ha dubbi Patrick Chalhoub, ceo di Chalhoub group, sul potere in crescita della metropoli emiratina : “Dubai è la nuova destinazione globale per il retail di lusso”. Dubai è passata dall’essere un hub all’avanguardia per turismo e business a nuova destinazione globale per il retail e la moda di lusso. Con la ripresa dei flussi turistici da tutto il mondo, la metropoli è pronta a diventare la capitale dello shopping. Basta seguire gli spostamenti delle nostrane influencer in cerca di fama per capire le tendenze. S’avvicina Natale, e la città degli Emirati Arabi Uniti é una delle destinazioni più gettonate dagli italiani, molti dei quali l’hanno eletta a residenza. Sono anni che gli Emirati lavorano duro per somigliare all’occidente e attrarlo ad investire tra le dune. Intorno al Burj Khalifa, il grattacielo più alto del mondo, le strade sono pulitissime. Non é un caso. Ovunque un asiatico o un nero è pronto a raccogliere l’immondizia buttata per terra dai turisti. Ho un amico che mi racconta soddisfatto delle luci sfavillanti nei centri commerciali pieni di merci, di auto che costano più di un monolocale a Milano, dello sfoggio di modernità ingioiellata dove molti occidentali possono giocare, comprare, evadere le tasse e accumulare beni. Resto perplessa. Il matrimonio di Dubai con la modernità è infatti traballante. Negli Emirati Arabi Uniti non esistono sindacati e non c’è alcun sistema che tuteli i lavoratori. Nel lavoro prevale ancora una forma moderna di schiavitù in tutto il Golfo Arabo. Il lungo elenco dei peccati di Dubai viene snocciolato da un rapporto del centro studi statunitense Carnegie endowment for international peace, che invita i leader ad affrontare “il problema del ruolo di Dubai nel favorire la corruzione globale”, denunciando che nella città sono attive varie categorie - dai signori della guerra afghani ai cleptocrati nigeriani, dai mafiosi russi e non solo agli europei che riciclano denaro - che rendono Dubai “una calamita per il denaro sporco”. I grattacieli di Abu Dhabi e Dubai sono stati costruiti con condizioni di lavoro al limite della sopravvivenza dai lavoratori migranti che, negli Emirati Arabi Uniti, rappresentano oltre l’80% della popolazione. Gli annunci di ricerca del personale sulle pagine Facebook si rinnovano in continuazione. Così come quelli su Job’s in Dubai. Oggi gli Emirati rappresentano il simbolo della modernità neoliberista, tuttavia accettata in Occidente, al punto tale che la sintesi del rapporto contiene infatti un solo cenno al trattamento disumano che Dubai riserva ai lavoratori migranti. Lo sfoggio dei centri commerciali e dei duty free stridono con le riforme del diritto del lavoro degli Emirati Arabi Uniti. Le nuove leggi sul lavoro, che dovrebbero essere implementate nel febbraio 2022, propagandate come il più grande aggiornamento delle relazioni sindacali degli Emirati Arabi Uniti, non soddisfano gli standard internazionali per i diritti dei lavoratori, denunciano i sindacati internazionali dell’Icftu. La mancanza di consultazione con i lavoratori e l’assenza di dialogo sociale tra lavoratori, datori di lavoro e governo significano che non ci sarà alcun cambiamento al sistema kafala della moderna schiavitù. Gli Emirati Arabi Uniti potrebbero imparare dalle esperienze dei loro vicini come il Qatar, dove è stato sviluppato un moderno sistema di relazioni industriali e dà ai lavoratori una voce e i mezzi per risolvere le controversie attraverso tribunali del lavoro. Sotto i tappeti scintillanti, il governo degli Emirati Arabi Uniti dovrebbe provvedere a porre fine al sistema della moderna schiavitù; ad introdurre un salario minimo non discriminatorio; ad abolire la necessità di permessi dei datori di lavoro per lasciare il paese, consentendo ai lavoratori di trattare direttamente con il governo per l’annullamento dei visti di soggiorno; includere i lavoratori domestici nel diritto del lavoro; istituire un tribunale del lavoro. Ospitare l’Expo di Dubai 2020 non ha affatto risolto il problema. Anzi, ha aumentato i rischi della schiavitù moderna per governi, organizzazioni internazionali e imprese con padiglioni ed eventi associati all'Expo. Le leggi e la pratica dei diritti del lavoro negli Emirati Arabi Uniti dovrebbero invece essere conformi agli standard internazionali del lavoro dell’Organizzazione internazionale del lavoro. La ratifica del Protocollo del 2014 alla Convenzione sul lavoro forzato dell’Ilo sarebbe un passo importante per mostrare l’impegno degli Emirati Arabi Uniti per la riforma. Ancora ricordiamo le scene dolorose dei bambini schiavi a dorso dei cammelli nelle corse sfrenate su cui ricconi scommettono fior di bigliettoni. I lavoratori domestici - inoltre - sono esclusi dal diritto del lavoro, in violazione degli standard internazionali. L’indice annuale dei diritti globali dell’Ituc ha valutato che gli Emirati Arabi Uniti non offrono “nessuna garanzia di diritti” per i lavoratori dal 2014. Del resto, 700 lavoratori migranti dall’Africa sono stati arrestati ed espulsi nel giugno 2021; il 50% dei lavoratori edili intervistati a Dubai ha indicato di non aver ricevuto il salario a fine mese e che gli sono stati negati gli straordinari; i lavoratori denunciano violazioni contrattuali e irregolarità, migliaia di dollari di compensi non saldati, impossibilità di cambiare lavoro e discriminazione salariale basata sulla nazionalità. Negli ultimi tempi l’attenzione dell’opinione pubblica sul sistema Kafala si è indirizzata verso il Qatar, dove nel 2022 si svolgeranno i campionati del mondo di calcio. Ma è negli Emirati Arabi Uniti che il problema è evidente da molto più tempo, rendendo la quasi totalità della popolazione privata dei diritti più elementari. E a rischio non sono solo i lavoratori mediorientali. Se fino a un decennio fa gli Emirati Arabi necessitavano di stranieri anche per ricoprire le posizioni manageriali, oggi non è più così. I dirigenti sono diventati gli stessi emiratini che, nell’ultimo decennio si sono laureati nelle più prestigiose università europee e americane e oggi scalzano gli occidentali.
Raffaella Vitulano