Il vecchio occidente torna alla politica dei muri. La storia, d’altronde, si ripete ciclicamente, cambiando a volte gli attori interessati. Dall'Ue al G7 degli Esteri, il primo dell'era Biden, si tenta di arginare l'espansionismo di Pechino, attualmente il più grande "problema"delle democrazie occidentali e non solo sul piano dei diritti umani. Cosa peraltro mai risolta e affatto secondaria. Alla luce dell'inasprimento delle relazioni tra Bruxelles e Pechino a colpi di sanzioni, la Commissione europea ha deciso di rallentare gli sforzi per far ratificate dai 27 e dal Parlamento di Strasburgo l'accordo sugli investimenti concluso alla fine del 2020 con Xi Jinping. Lo ha spiegato bene il vice presidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis: "Abbiamo per il momento sospeso lo sforzo di sensibilizzazione politica da parte della Commissione, perché è chiaro che nella situazione attuale l'ambiente non è favorevole alla ratifica dell'accordo". Il clima sfavorevole a cui fa riferimento è quello delle sanzioni cinesi contro personalità europee - adottate come contromisura a quelle imposte dell'Ue contro Pechino - che hanno colpito anche europarlamentari e definite a Bruxelles "inaccettabili e deplorevoli".
Nelle prossime ore la vicepresidente Margrethe Vestager presenterà finalmente lo scudo Ue contro le scalate ostili da parte di aziende di Paesi terzi: una sorta di 'golden power' pensata principalmente contro le aziende di Pechino che, gonfie di sussidi governativi, sono ormai da anni iperattive sul territorio europeo approfittando delle difficoltà economiche dell'Europa, aggravate dalla crisi sanitaria.
Mentre dalla riunione a Londra dei ministri degli Esteri del G7 arriva la proposta degli Stati Uniti di istituire un meccanismo di consultazione per garantire una risposta coordinata alle mosse di Pechino, considerate aggressive. L'iniziativa è trapelata da fonti presenti alle discussioni londinesi e non è stata ancora confermata dal Dipartimento di Stato, ma è chiaro ormai il cambio di passo dell'amministrazione Biden nei confronti del gigante asiatico, portando sulla propria linea anche i tre membri europei del G7, Italia, Francia e Germania. Una posizione condivisa anche dal padrone di casa, il britannico Dominic Raab: le società aperte e democratiche devono dimostrare unità e fare fronte comune "per contrastare le sfide che condividiamo e le minacce che si moltiplicano".
Oltre al problema cinese sul tavolo dei capi diplomazia del G7, riuniti per la prima volta in presenza dall'inizio della pandemia, sono stati affrontati tutti i grandi dossier internazionali: dall'infinita guerra in Siria alla fragile stabilizzazione della Libia, dall'Ucraina minacciata da Mosca all'Afghanistan in bilico tra il ritiro delle truppe Nato e il rigurgito talebano. Prossimo appuntamento al Social summit organizzato dalla presidenza portoghese del Consiglio Ue.
Rodolfo Ricci