Dopo le elezioni si dovrà affrontare il tema dell’ingresso di nuovi Paesi, dai balcanici all’Ucraina e alla Moldavia. Ma una Unione a 30-32 membri non potrà funzionare senza riforme fondamentali come l’abolizione del diritto di veto. In queste settimane si sta parlando di una possibile candidatura dell’ex presidente del Consiglio Mario Draghi come prossimo presidente della Commissione europea o, in alternativa, del Consiglio europeo. La Commissione Ue è il principale organo esecutivo dell’Unione europea, mentre il Consiglio europeo riunisce i capi di Stato e di governo dei 27 Stati membri e ha funzioni di indirizzo politico. Entrambe le nomine saranno decise dopo le elezioni europee che si terranno dal 6 al 9 giugno, tenendo conto per l’appunto dei risultati elettorali. Per esempio, il presidente della Commissione Ue è di solito espressione della forza politica europea che raggruppa i partiti più votati alle elezioni europee. L’attuale presidente della Commissione Ue è Ursula von der Leyen, esponente del Partito Popolare europeo, che nella legislatura in corso è il partito più rappresentato nel Parlamento europeo. Al momento è comunque prematuro fare ipotesi su chi ricoprirà i vari incarichi di vertice dell’Ue.
Ma esiste un vero e proprio capo dell’Ue? In breve: no. In base ai trattati fondativi dell’Unione europea, un presidente dell’Ue non esiste, sebbene alcune proposte di riforma dei trattati attualmente in discussione vorrebbero introdurre questo ruolo. Ciascuna delle principali istituzioni dell’Ue, vale a dire il Parlamento europeo, la Commissione europea, il Consiglio europeo e il Consiglio dell’Unione europea, è guidata da un proprio presidente.
Si diceva di allargare l’Ue, passando da 27 a 32 o addirittura 36 membri. E contemporaneamente, anche in vista di questo ambizioso obiettivo, riformarla per renderla più governabile ed efficace. Saranno due obiettivi fondamentali della prossima legislatura europea e proprio per questo sarà importante capire chi uscirà vincitore dalle urne: perché se i sovranisti avranno la meglio bloccheranno alcune riforme, come quelle che puntano a cancellare il potere di veto dei singoli Stati. E a quel punto l’allargamento ad Est - reso ormai necessario, dopo tanti anni di attesa, anche dalle aggressive campagne di influenza russa- rischierebbe di trovare nuovi ostacoli, di essere limitato o di creare caos nell’Unione. Della questione sono essere consapevoli il Parlamento europeo, la Commissione Ue e diversi leader nazionali.
L’Europarlamento ha approvato il 29 febbraio ad ampia maggioranza una risoluzione in cui si dichiara che l’Ue ha bisogno di riforme istituzionali e finanziarie per garantire la sua capacità di assorbire nuovi membri. Nel mirino c’è anzitutto il superamento dell’obbligo dell’unanimità, insomma appunto del diritto di veto, in aree come la politica estera e quella di difesa - è una necessità che si è mostrata evidente negli ultimi tempi, quando il presidente ungherese filorusso Viktor Orbán ha ricattato gli altri 26 sulla concessione degli aiuti a Kiev - ma servirà intervenire anche per fisco, salute o ambiente. Nel testo si chiede anche che l’Ue stabilisca obiettivi concreti di riforma, tabelle di marcia e tempistiche medie per ciascun Paese candidato all’adesione, senza corsie preferenziali o scadenze fisse predefinite. I Paesi che realizzeranno progressi sostanziali nelle riforme dovrebbero quindi essere in grado di integrarsi gradualmente nelle politiche comuni dell'Ue, come il mercato unico, anche prima di aderire formalmente all’Unione.
L’idea di una Convenzione è stata rilanciata dalla Conferenza sul futuro per l’Europa (esperimento di democrazia partecipativa a cui hanno lavorato per un anno 800 cittadini scelti a caso), ma per aprirla serve il via libera di 14 Stati membri nel Consiglio europeo, e già 13 l’hanno definita una idea prematura. La parola definitiva spetterà insomma ai leader nazionali. Intanto nel Consiglio del 21 e 22 marzo i leader europei si sono impegnati ad adottare in merito entro l'estate del 2024 conclusioni su una tabella di marcia per i lavori futuri. Anche la presidente uscente della Commissione Ue Ursula von der Leyen si è espressa in favore di riforme profonde che accompagnino l’allargamento.
La Commissione di Bruxelles, in particolare, suggerisce "integrazioni graduali" di nuovi membri, ovvero un loro ingresso parziale, per poi farli accedere completamente in tutte le aree in un secondo momento, quando avranno rispettato interamente i criteri di ammissione. Sul fronte della governance, la Commissione è a favore della riforma dei Trattati, ma ipotizza anche di usare le cosiddette "clausole passerella", che permettono di passare in Consiglio dall’unanimità alla maggioranza qualificata in alcune aree.
Rodolfo Ricci