L'inflazione americana accelera in ottobre e sale al 2,6%, mostrando come la battaglia contro il caro-prezzi non è ancora vinta nonostante i notevoli progressi dell'ultimo anno. Il dato piomba su una Fed impegnata a valutare a quale velocità tagliare il costo del denaro per evitare una recessione e centrare il tanto ambito atterraggio morbido. Un obiettivo non semplice da raggiungere e sul quale gravano molte incognite. Oltre alle tensioni geopolitiche, c'è infatti l'incertezza sulle prossime mosse di Donald Trump che, nel corso della campagna elettorale, ha promesso un inasprimento dei dazi e tagli alle tasse.
Un mix che, secondo gli analisti, è destinato ad avere conseguenze sull'inflazione e sui conti pubblici americani, già su una traiettoria insostenibile, come sottolineato in più occasioni dal presidente della Fed Jerome Powell. Le rassicurazioni degli alleati del presidente-eletto sull'uso dei dazi solo come strumento per trattare con gli alleati non hanno finora rassicurato. Quando nel 2018 Trump ha mosso i suoi primi passi nella guerra commerciale contro la Cina, l'economia americana aveva cuscinetti per assorbire lo shock senza ricadute per le famiglie, grazie anche a un'inflazione core al 2,3%. Ora invece gli americani stanno emergendo dal periodo di caro-vita peggiore degli ultimi 40 anni che ha fatto schizzare i tassi di interesse, e quindi dei mutui. Per il presidente-eletto i margini - secondo gli osservatori - sono quindi inferiori e ogni iniziativa potrebbe tradursi in un rialzare la testa dell'inflazione, costringendo così la Fed a riprendere il ciclo di strette.
Nonostante l'accelerazione dei prezzi in ottobre - risultata comunque in linea con le attese -, la Fed dovrebbe procedere in dicembre a un ulteriore taglio del costo del denaro da un quarto di punto. Decisivi saranno i prossimi dati economici: Powell nel corso della sua ultima conferenza stampa non si è sbilanciato sulle prossime mosse. "Non c'è nulla di prestabilito. Decidiamo di riunione in riunione", ha spiegato cautamente il presidente della Fed, su cui sono puntati tutti i riflettori visti i rapporti contrastati con Trump. Powell, secondo indiscrezioni, è pronto ad andare allo scontro totale con il presidente-eletto, ricorrendo alle vie legali qualora cercasse di rimuoverlo così da tutelare l'indipendenza della Fed.
Per il momento, affermano gli analisti, il presidente della banca centrale può comunque stare tranquillo: la Fed sta tagliando i tassi come chiesto da anni da Trump e, quindi, per ora uno scontro è evitato o quantomeno rimandato. Cosa accadrà se l'inflazione ripartisse con i dazi non è però chiaro. Sul caro-prezzi Trump ha giocato la sua campagna elettorale e vinto la Casa Bianca, capitalizzando sulla frustrazione degli elettori impotenti di fronte a un caro-vita che per anni non ha dato tregua.
Powell per ora resta concentrato sulla sua principale battaglia, quella contro l'inflazione. Indubbiamente rispetto al picco del 9,1% del 2022 sono stati compiuti progressi, ma l'obiettivo del 2% non è stato raggiunto. In ottobre i prezzi sono saliti al 2,6%, accelerando rispetto al 2,4% di settembre. L'indice core, al netto di energia e alimentari, ha segnato un +3,3% su base annua e un +0,3% su base mensile, in linea con le attese degli analisti. L'analisi dei dati mostra aumenti significativi per diverse voci, dalle auto usate salite del 2,7% ai biglietti aerei rincarati del 3,2%. I prezzi dell'energia sono rimasti invariati, con il calo della benzina bilanciato dall'aumento dell'elettricità e del gas naturale. Un quadro a luci e ombre quindi per la Fed che, nell'ultimo miglio della sua battaglia contro l'inflazione, sta incontrando ancora molti ostacoli.
Rodolfo Ricci