Passi avanti, almeno nel consenso dei 27, sulla dichiarazione comune che il summit Ue venerdì è chiamato ad adottare sul report di Mario Draghi nella riunione informale di Budapest. A quanto si apprende nel corso della riunione dei Rappresentanti Permanenti (Coreper II) è stata definitivamente accantonata l'iniziale bozza di dichiarazione comune, giudicata largamente come troppo lunga e specifica in diversi capitoli del dossier competitività, è stata ridotta. Nel nuovo testo vi è un sostegno di principio ai report di Enrico Letta e Draghi, considerati una base solida da cui far partire su lavoro ambizioso sulla competitività, sulla base di punti di riferimento (drivers, ndr) attorno al quale orientare le iniziative.
I vincoli programmatici previsti nel testo iniziale ne risultano di fatto rallentati ma su questa nuova bozza i 27 possono trovare il consenso necessario già prima del vertice informale, che si riunirà venerdì mattina alla presenza dello stesso Draghi, del presidente dell' Eurogruppo Paschal Donohoe. In nome della competitività l'accordo politico a non cedere alla tentazione di una corsa disordinata a scapito degli altri partner a dodici stelle. C'è da colmare il divario crescente con gli Stati Uniti e rispondere alla pressione cinese.
All’ultima riunione dell’Eurogruppo c’è stata una sola parola d’ordine:fFare le cose per bene, insieme, per una concorrenza che sia europea con il resto del mondo e non tra Stati membri. I ministri economici dell’Unione europea, quella con e senza moneta unica, si accordano per resistere alla tentazione di agire in ordine sparso, ognun per sé. Al contrario vedono nel coordinamento delle politiche industriali la chiave per tornare davvero competitivi e innovativi. È stata questa, in estrema sintesi, la dichiarazione congiunta di fine seduta dell’Eurogruppo nel formato allargato a quanti ancora non fanno parte di eurolandia.
"L’uso diffuso delle politiche industriali, in particolare a livello nazionale, dovrebbe essere evitato in quanto rischia di minare il mercato unico", sottolineano i ministri dell’Economia e delle finanze dei 20+7.
La chiave di volta sta proprio nella necessità condivisa di completare e potenziare il mercato unico, e avere politiche industriali differenziate andrebbe contro questo principio. Certo, i governi evitano di legarsi completamente le mani riconoscendosi, "in casi specifici", la possibilità di procedere in modo nazionale per affrontare i fallimenti del mercato e migliorare l’autonomia strategica aperta. Si tratta tuttavia eccezioni da definire attentamente nonché "attuare correttamente per evitare rischi quali la ricerca di rendite, l’allocazione errata delle risorse e le distorsioni commerciali".
La parola d’ordine è e resta ‘coordinamento’.
Alternative non ce ne sono, se si guarda allo scenario globale. "Nel corso degli anni il divario di produttività si è ampliato tra l’Ue e i suoi partner commerciali, come nel caso degli Stati Uniti, mentre le economie emergenti come la Cina continuano ad aumentare la pressione concorrenziale". I ministri sanno che l’Ue è nella morsa sino-americana, e di fronte a ciò ritengono "prioritario affrontare la sotto-performance dell’Europa in termini di produttività facilitando le condizioni affinché le imprese europee possano investire e innovare". Senza innescare una lotta tutta intra-europea.
Rodolfo Ricci