Speriamo che duri. Sono possibili anche soprese, la storia lo insegna. Infatti, Usa e Ue hanno raggiunto un accordo "di principio" per una tregua sui dazi, dopo le crescenti tensioni commerciali degli ultimi mesi. L’intesa è arrivata dopo un incontro a Washington tra il presidente statunitense Donald Trump e il presidente della Commissione europea Jean- Claude Juncker. Tra i punti chiave del riavvicinamento ci sono l’obiettivo "zero tariffe sui beni industriali", eccetto le auto per cui dovrebbero restare barriere. Certo, più in generale, è raro che il Beige Book della Fed faccia davvero scalpore. È un documento aneddotico e preparatorio per i futuri vertici dell’istituto, che nasce da sondaggi e esami delle condizioni del business e dell’attività economica nei dodici distretti nei quali la Fed suddivide gli Stati Uniti.
Ma questa volta il rapporto tradisce, più ancora dei vertici stessi della Banca centrale, una preoccupazione cruciale e insolita: lo spettro dell’ impatto dei dazi e dei conflitti commerciali scatenati dall’amministrazione di Donald Trump sul tessuto imprenditoriale. Imprese manifatturiere e delle costruzioni, in particolare, hanno cominciato a riportare incrementi nei prezzi e traumi alle catene globali di forniture dalle quali ormai dipendono.
Le prove di questa crisi strisciante nell’interscambio sono in ordine sparso ma influenti. Il distretto di Philadelphia vede un produttore di macchinari notare che l’effetto dei dazi sull’acciaio è stato caotico per il suo sistema di forniture - interrompendo ordini pianificati, aumentando i prezzi e generando acquisti legati a panico.
A Chicago diverse aziende hanno evidenziato crescenti timori sulle ripercussioni delle guerre sul trade quando si tratta del settore agricolo. In Maryland un’azienda di contenitori metallici ha denunciato che i dazi significano per lei "non poter ottenere la qualità di acciaio necessario negli impianti domestici", tanto da anticipare così una "perdita di business a fronte di concorrenti stranieri che non fanno invece i conti con le sanzioni sull’acciaio". A Cleveland sono affiorate paure per pressioni sui costi.
Trump, in nome di America First e criticando alleati e avversari per scorrettezza economica, ha imposto dazi del 25% sull’acciaio e del 10% sull’alluminio in arrivo dall’estero, formalmente per colpire la sovrapproduzione cinese ma in realtà danneggiando anzitutto l’import da Canada e Unione europea, i primi due esportatori di acciaio sul mercato americano. E ha fatto scattare un’iniziale tranche di barriere contro la Cina, che potrebbero arrivare a colpire fino a 450 miliardi di importazioni. Utilizzando motivazioni di sicurezza nazionale già sfoderate per i metalli, sta inoltre minacciando di imporre dazi del 20% o del 25% sulle auto d’importazione, mossa che provocherebbe danni ben più significativi, stando anche al Fondo monetario Internazionale, alla stessa economia statunitense che a parole Trump vuole proteggere, vista la stretta dipendenza da sistemi di produzione globali. Gruppi del settore automotive si stanno mobilitando per intensificare le pressioni sull’amministrazione affinché rinunci all’idea dei dazi. I Paesi colpiti hanno intanto risposto con iniziali rappresaglie già alle prime bordate tariffarie americane. Il Beige Book, nell’insieme, non suggerisce tuttavia ancora panico quanto nervosismo. Indica che le paure sono al momento anzitutto per il futuro, per ulteriori escalation delle tensioni commerciali, mentre significativi danni già avvenuti sono al momento contenuti a erosioni di fiducia tra alcune aziende e comparti. Come a dire che il peggio può essere tuttora evitato.
(Altri articoli su Conquiste tabloid in uscita uk 9 agosto)