La ormai appesantita locomotiva economica tedesca, che corre meno di quasi tutti i suoi 26 vagoni, si è fermata. Il collasso del Governo nei consensi elettorali, un boom di fallimenti aziendali, un'ondata di proteste popolari, il crollo delle importazioni e delle esportazioni, un buco fiscale nelle casse federali e, in sintesi, un arretramento della produzione che segna l'anno nero della Germania. Il Paese guidato dal cancelliere Olal Scholz lascia dietro di sé un 2023 marchiato a caldo dalla recessione ed entra nel 2024 fortemente sfiduciato, portandosi dietro le cicatrici di una crisi che non è più soltanto economica ma prima di tutto esistenziale: l'architettura del suo modello trentennale di sviluppo è franata sotto i colpi della crisi energetica e dell'inflazione.
La Germania ha archiviato un 2023 con il Pil in flessione dello 0,3%, un decimo di punto meno di quanto previsto: solo formalmente non è recessione, ma il sinistro mix di prezzi e tassi elevati è un altro colpo per un modello socio-economico di successo che ormai da oltre 30 anni è inseguito dalla definizione di "malato d'Europa". Il Pil tedesco è sceso dello 0,3% anche tra ottobre e dicembre ed è stato solo grazie alla revisione del dato dei tre mesi precedenti (allo 0% da -0,1%) che si è evitato per un pelo i due trimestri consecutivi di calo che avrebbero messo in recessione un'economia che da sola produce quasi un quarto (24%) della ricchezza europea (seguita dalla Francia col 17%). Il -0,3% tedesco si profila come uno dei risultati più deboli al mondo visto che il Fmi ha recentemente previsto per le economie avanzate una crescita in media dell'1,5% nel 2023, mentre quelle emergenti e in via di sviluppo registreranno un'espansione del 4%. Il calo è stato dovuto alla debolezza di vendite al dettaglio, di esportazioni e di produzione industriale ma soprattutto ai prezzi elevati.
L'inflazione tedesca da ottobre è scesa sotto il 4% ma un anno fa era poco sotto il 9%: un livello mai visto dal secondo dopoguerra in un Paese che ha imposto all'Europa la soglia del 2% quale benchmark di politica monetaria. Le rincorse salariali proprio la settimana scorsa hanno bloccato i treni per ben tre giorni con uno sciopero dei macchinisti. Inoltre l'adorazione del totem del pareggio di bilancio ha innescato una "guerra degli agricoltori" contro il taglio delle sovvenzioni al settore agricolo. All'inflazione, ha notato l'Ufficio statistico, si è combinato l'aumento dei tassi e una minore domanda, tedesca ed estera.
Anche se l'industria dell'auto regge, la produzione dei comparti ad alta intensità energetica quali la chimica e metallurgica è diminuita nuovamente. Ora i continui attriti interni alla coalizione di sinistra-centro del Cancelliere Olaf Scholz stanno creando uno stallo decisionale di cui profitta l'estrema destra, ormai secondo partito del Paese. Infine, la sentenza della Corte Costituzionale che in ottobre ha scombussolato i piani di Scholz per finanziare investimenti con fondi fuori bilancio.
Rodolfo Ricci