«Chi ci assicura che la storia universale, dagli uomini delle caverne alle ultime elezioni amministrative, non sia una specie di gigantesco trompe-l’oeil, frutto di una cospirazione millenaria ordita da generazioni e generazioni di intellettuali che si sarebbero passati ininterrottamente il testimone, con lo scopo perverso di contraffare la realtà nel suo dipanarsi?» Non è un interrogativo, quanto un’affermazione assunta a paradosso per discettare sull’Ucronia, cui Emmanuel Carrère dedicò un pamphlet nel 1985, oggi riproposto da Adelphi, mentre incalzano bivi geopolitici che sembrano destrutturare la concezione complessiva delle cose. Il termine è modellato su utopia. Dal nessun luogo al nessun tempo. Deriva dal libro “Ucronia. Sommario apocrifo dello sviluppo della civiltà europea come non è stata e come avrebbe potuto essere”, di Charles Renouvier, apparso nel 1876.
Il primo caso di divagazione su mondi possibili è antecedente. Risale a “Éponime ou de la république”, di Delisle de Sales, del 1791, dove il filosofo amico di Voltaire discettava di alternative ipotetiche per fini illuministi. Oggi, la fisica quantistica ammette la teoria del multiverso, ovvero la compresenza di assetti dello spazio-tempo simili, identici o differenti da quello percepito. Nei quali l’esercizio della finzione può scatenarsi con infinite variazioni. Certo, il repertorio cui attinge Carrère è prevalentemente francofono. Vi fa spicco “Napoleone apocrifo. Storia della conquista del mondo e della monarchia universale. 1812-1832. Ne fu autore Louis-Napoléon Geoffroy-Chateau, rampollo di un ufficiale caduto ad Austerlitz e quindi intriso di glorie mai realizzate a causa della sconfitta di Waterloo. Quest’ultima, da luogo geografico, diviene perno rotatori di infinite possibilità ucronica. Ma Carrère non trascura “La svastica sul sole”, di Philip K. Dick, e tanto meno “Il richiamo del corno”, di Sarban, pseudonimo di John William Wall, diplomatico passato alla narrativa con una produzione molto parca. In entrambi i romanzi si avvera per finzione la più angosciosa eventualità del XX secolo: e se la Germania avesse vinto la seconda guerra mondiale? L’incubo del nazismo dominava le paure collettive all’indomani della pace.
In “Ucronia”, però, Carrère va oltre il florilegio di riscritture della cronologia vera, per ravvisare in questo genere letterario il riflesso di un terrore congenito dell’umanità, quello di dubitare dei suoi stessi ricordi. Allora la nostalgia di un passato che non c’è mira a crearlo ex novo. Con grande sprezzo della sentenza di Macbeth: «Ciò che è stato fatto non può venire disfatto». Inoltre, nel finale del libro Carrère ne rivela l’autentico obiettivo: «…bisognerebbe allontanarsi dall’ucronia, dagli universi paralleli e avventurarsi nel territorio della realtà».
Emmanuel Carrère, Ucronia, Adelphi 2024, tr. di F. Di Lella e G. Girimonti Greco, pp. 172, Euro 14,00