La morfologia urbana cambia rapidamente i connotati: ce ne accorgiamo tutti i giorni. Lo disse, per primo, Marc Augé, l’antropologo e studioso di scienze sociali. Augé è stato il teorico delle città disperse nei metrò ( metafora del viaggio interiore), negli autogrill, nelle grandi catene di negozi. Città condizionate dalla crescita rapida e disordinata ( la fluidità spaziale nell’epoca degli eccessi di tempi, spazi e individualismi). Il fenomeno si manifesta nelle zone periferiche, data la connotazione di aree separate sottoposte a continui mutamenti. Nelle metropoli andiamo incontro alla perdita di storia e tradizione secolari, di usi e costumi consolidati, dello stesso dialetto distintivo. Le piccole città stesse subiscono la crisi del capitalismo in modo disarmonico e in alcuni casi rimangono ruderi industriali con capannoni in disuso, strutture fatiscenti, stabili inutilizzati. I legami sociali si assottigliano e i centri assomigliano a spazi degradati, indipendenti ma isolati, con ampie aree limitrofe sempre più difficilmente distinguibili.
Le città, in questi ambienti, sono strade di passaggio non più identitarie. Ecco i nonluoghi di Marc Augé, una sorta di policentrismo senza logica, senza più regole e pianificazioni. Da attento viaggiatore, Augé ha scritto libri sulla mobilità umana nel mondo riconoscendo la necessità di stabilire rapporti consolidati, costruiti sulla relazionalità diffusa. I nonluoghi sono una realtà artificiale nata per esigenze di scambio: aeroporti, stazioni ferroviarie, centri commerciali in cui transitano milioni di persone che non si conoscono, senza che questo enorme afflusso riesca a costruire contatti significativi. I nonluoghi sono anche il prodotto della modernità avanzata, la cosiddetta surmodernità: l’evoluzione della società per effetto della globalizzazione e del superamento della postmodernità, l’effetto del consumismo e della comunicazione tra individui che non generano uno spirito comunitario. Scrive Marc Augé: “ L’antropologo parla di quel che ha sotto gli occhi.
Città e campagne, colonizzatori e colonizzati, ricchi e poveri, indigeni e immigrati, uomini e donne; e parla, ancor più, di tutto ciò che li unisce e li contrappone, di tutto ciò che li collega e degli effetti indotti da questi modi di relazione”. Augé sottolineava il vivere in una sorta di ipertrofia del presente amplificata dai media, vecchi e nuovi. “ In un certo senso il nostro tempo non è più lineare ma circolare. Come quello delle società primitive, come quello del mondo contadino”. Nonostante le illusioni diffuse dalla tecnologia, elemento considerato sostitutivo, l’antropologo invitava a recuperare il diritto di cittadinanza.