Finisce dunque l’era dei mutui a costo quasi zero. Se ne è accorto già negli ultimi mesi chi chiedeva un nuovo finanziamento e si è visto offrire un tasso più alto di quelli concessi l’anno scorso. In vista della stretta di Francoforte, annunciata da mesi, il mercato si è infatti preparato e le banche hanno ricominciato a caricare sui risparmiatori i costi del denaro che da luglio sarà più caro (ad aprile i tassi di interesse sui prestiti erogati nel mese alle famiglie per l'acquisto di abitazioni, comprensivi delle spese accessorie, si sono collocati al 2,15% dal 2,01% in marzo). I mutui a tasso variabile subiranno l’effetto più immediato: le rate saliranno da luglio. Ovviamente più cari anche prestiti personali e rateizzazione delle spese.
Per quanto riguarda il risparmio, l’annuncio della Bce ha subito colpito i rendimenti e il Btp a 10 anni italiano è schizzato ai massimi dal 2018. Lo spread è salito a quelli del 2020. Quanto alle aziende, le rate dei prestiti saranno più alte.
Peraltro il quadro macroeconomico in Italia è fortemente condizionato dall’evoluzione del conflitto in Ucraina “i cui sviluppi restano altamente incerti e possono determinare traiettorie molto differenti per l'economia italiana nei prossimi anni”, come scrive Bankitalia nelle proiezioni macroeconomiche. Nello “scenario di base”, che esclude uno stop alle forniture di energia e gas dalla Russia, Via Nazionale stima il Pil per quest’anno a + 2,6% del Pil, + 1,6% nel 2023. + 1,8% nel 2024. Stime che però non considerano gli ultimi migliori dati Istat. Nelle previsioni precedenti di gennaio, Bankitalia prevedeva una crescita 2022 al 3,8%, sul 2023 un 2,5% e sul 2024 l'1,7%. In crescita, anche rispetto alle attese di gennaio, l’inflazione: quest’anno al 6,2%; 2,7% nel 2023; 2% nel 2024. Migliorano invece le previsioni di disoccupazione: all'8,6% sulla media di quest'anno, all'8,5% il prossimo e all'8,2% del 2024.
Poi c’è lo ”scenario avverso”, che prevede un arresto delle forniture di energia da Mosca a partire dal trimestre estivo: in questo caso il Pil dell'Italia segnerebbe una crescita "pressoché nulla" nel 2022, si ridurrebbe di oltre 1 punto percentuale nel 2023 e tornerebbe a crescere nel 2024. Peggiori anche le attese anche di inflazione: intorno all'8% quest'anno, al 5,5% nel 2023, in calo solo nel 2024.
Una boccata d’ossigeno arriva dai dati Istat sulla produzione industriale, che ad aprile sale dell'1,6% rispetto a marzo, trainata da beni di consumo ed energia (+4,7%). Inoltre, nel primo trimestre 2022, l'Istat stima una forte crescita congiunturale delle esportazioni per tutte le ripartizioni territoriali: +9,3% per il Sud e Isole, +9,1% per il Centro, +9,0% per il Nord-ovest e +8,1% per il Nord-est.
In questa fase sempre più difficile e complessa il leader della Cisl Sbarra torna a sollecitare la definizione di un patto sociale. E sul salario minimo osserva: ”Fissare un compenso orario rischia di schiacciare verso il basso altre retribuzioni, perché a quel punto l’impresa potrebbe decidere di uscire dall'applicazione del contratto e di attestarsi sul rispetto rigoroso della legge con la cifra fissa sul compenso orario”. Sbarra ricorda che ”la retribuzione complessiva del lavoratore non è fatta solo di compenso orario minimo perché si aggiungono altri istituti, ferie, tredicesima, maggiorazioni, Tfr, previdenza complementare. La via in Italia è quella della contrattazione”. La Cisl apre all’ipotesi del ministro del Lavoro Orlando: prendere come riferimento i trattamenti economici complessivi dei contratti maggiormente applicati nei settori di riferimento ed estenderli a quelle aree non coperte dalla contrattazione.
Giampiero Guadagni