Il settore conta quasi 2 milioni di occupati: oltre 1 milione e 800 mila occupati sono a tempo indeterminato (l'85% del totale), a fronte di 180 mila dipendenti a termine (il 9%) e 120 mila lavoratori autonomi (il 6%). L’andamento è tendenzialmente crescente negli ultimi anni: oltre i due terzi dell’occupazione è concentrata nei comparti della metallurgia e prodotti in metallo e dei macchinari, mentre il peso del comparto auto e mezzi di trasporto in generale (15%) è inferiore ad altri Paesi europei.
Altro dato che viene sottolineato nel Rapporto è il tasso di infortuni che risulta in calo da una decina d'anni, sebbene tale miglioramento si sia arrestato tra il 2020-21.
Nel 2022 le imprese metalmeccaniche hanno programmato un numero di assunzioni che superano i dati pre-pandemia del 2019 ma anche del 2018. Tuttavia cresce, pur su livelli ancora contenuti se confrontati con quelli dei settori dei servizi, una certa difficoltà nel reperimento di alcune professionalità: quasi l'8% delle aziende, infatti, ha ravvisato un problema di mancanza di manodopera fra i fattori che ne impediscono il regolare svolgimento dell’attività. Le difficoltà di reperimento, spiega lo studio Fim, ”non sembrano necessariamente da ricondurre a fenomeni di mismatch delle competenze quanto piuttosto a un generale cambiamento nelle condizioni del mercato del lavoro, soprattutto nelle aree del Paese caratterizzate da una più ampia base manifatturiera”. Un nodo, quello della qualificazione della manodopera che ha invece a che fare con l’insufficiente dotazione degli organici dei centri per l’impiego. Eppure ”la metalmeccanica è uno dei comparti con tassi di precarietà inferiori ad altri settori industriali”. Insomma, ”una maggiore valorizzazione delle competenze tecniche e dell’istruzione negli istituti professionali potrebbe aiutare i più giovani a cogliere le opportunità occupazionali presenti in questi settori”.
Restano però i problemi legati alla formazione, acuiti dall’accelerazione dell’innovazione tecnologica, e alla scarsità di manodopera professionalizzata rispetto ai bisogni delle imprese, come pure l’indebolimento della presenza della metalmeccanica nel Mezzogiorno del Paese.
Ora la sfida è il rientro dell’inflazione e delle dinamiche salariali.
Commenta il leader della Fim Roberto Benaglia: ”Non dobbiamo tuttavia sederci su questi risultati. Il rischio che corre il sindacato italiano è quello di agitare slogan del Novecento che sono sempre meno compresi sui luoghi di lavoro. La Fim Cisl sulla base di questa indagine è ancora più convinta che serva una contrattazione riformatrice capace di completare il set di tutele a partire dalle competenze riconosciute, dall’innalzamento dei salari legati alla professionalità espressa, dalla capacità di accompagnare i metalmeccanici nelle tante transizioni lavorative che li caratterizzano. Questo è un tempo nuovo per il lavoro, soprattutto nel nostro settore, le disuguaglianze che riscontriamo ancora vanno aggredite con proposte innovative”.
Il 2023 sarà l'anno cruciale per realizzare una politica industriale italiana ”in sintonia con la nuova politica industriale europea, decisiva per rispondere alla duplice sfida di Stati Uniti e Cina”. Lo ha dichiarato il ministro delle Imprese e del Made in Italy Urso nel suo intervento al primo tavolo con i sindacati sulle politiche industriali. Prossimo incontro a fine febbraio. Il tavolo è stato avviato alla vigilia della missione di Urso a Bruxelles, con incontri in Parlamento europeo e con i commissari appunto sui temi della politica industriale e in vista dei due provvedimenti collegati alla Legge di bilancio che tratteranno, rispettivamente, la riforma degli incentivi e la valorizzazione del Made in Italy.
La Cisl apprezza l’approccio innovativo del Ministro. Spiega il segretario confederale Graziani: ”C’è bisogno di un intervento emergenziale immediato e di un patto per l'industria che guardi davvero la prospettiva, di una politica industriale capace di mettere l'Italia al posto che merita che non è soltanto il secondo in Europa ma di leadership mondiale”.
Da parte sua il segretario generale della Cgil Landini ha chiesto l’istituzione di un’agenzia pubblica per lo sviluppo per coordinare anche le politiche che fanno le imprese pubbliche a partire da quelle energetiche”. Per Landini occorre ”smetterla di dare soldi a pioggia alle imprese, piuttosto bisogna avere un’idea di sviluppo del Paese”.
Giampiero Guadagni