Domenica 26 gennaio 2025, ore 23:35

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Conquiste del Lavoro Magazine

La partecipazione, un modello di sviluppo nuovo

di Luigi Sbarra

Nelle ore in cui scrivo le Commissioni congiunte Lavoro e Finanze della Camera dei Deputati si apprestano a votare gli emendamenti all’Atto Camera n. 1573, la denominazione formale della nostra proposta di legge di iniziativa popolare “La partecipazione al lavoro. Per una governance d’impresa partecipata dai lavoratori”.

Essere arrivati a questo punto ha già un significativo valore storico: le proposte di legge di iniziativa popolare che hanno avuto la sorte non soltanto di essere calendarizzate, ma anche di essere discusse ed emendate si contano sulle dita delle mani. Non ci accontentiamo, però, e per questo chiediamo al Parlamento, con rinnovato vigore, di procedere speditamente con l’approvazione della legge che, dopo oltre settantacinque anni, finalmente adempie al mandato dell’articolo 46 della Costituzione.

Attenzione: ci auguriamo una veloce entrata in vigore della legge non per vanità politica, per ostentare il raggiungimento di un traguardo che anche i più ostili avversari della nostra proposta riconoscono essere storico; lo auspichiamo perché siamo fermamente convinti che sia una risposta concreta, efficace, originale, ai tanti problemi che affliggono il mercato del lavoro italiano.

In particolare, solo con la partecipazione riusciremo a innalzare i salari medi e mediani dei dipendenti privati e pubblici. Altro che sterili dibattiti attorno al salario minimo, che qualcuno vorrebbe per legge, o avventanti referendum sul licenziamento e sulla precarietà nel momento di massima espansione dell’occupa zione italiana nella storia moderna: la nostra attenzione è rivolta alla qualità del lavoro, ossia alle tutele riconosciute dai contratti collettivi, al welfare, alla formazione e ai livelli salariali. Per raggiungere questa meta (che la Costituzione individua con l’espressione ”elevazione sociale ed economica del lavoro”) non vediamo migliore strada perseguibile che quella della partecipazione ai risultati e alla gestione delle imprese.

Sono molteplici i fattori che hanno ostacolato i tentativi cooperativi in materia di relazioni di lavoro nel passato: l’af fermazione di modelli manageriali ostili al coinvolgimento dei lavoratori, l’ideologica conflittualità novecentesca tra capitale e lavoro, la micro-dimensione diffusa delle imprese italiane, la politicizzazione delle relazioni industriali. Il filo rosso di queste ragioni, in passato come oggi, è il pregiudizio culturale che ritiene ontologicamente avversari i proprietari dei mezzi di produzione e coloro che li usano per lavorare alle loro dipendenze. Questa semplificazione non è più accettabile: sono centinaia le buone pratiche di partecipazione dei lavoratori alla governance delle imprese che abbiamo censito prima di redigere la nostra proposta. Soluzioni originali, figlie della creatività della contrattazione, che operano in ambito strategico, ma anche economico, organizzativo e consultivo.

Le logiche del lavoro e le sue regole sono ancora ferme alla terza rivoluzione industriale. Ai più nostalgici del passato suggeriamo di osservare tanto la crisi economica derivante dal Covid, quanto quella causata dall’incremento dei costi energetici: entrambe hanno dimostrato ad associazioni datoriali e sindacati che la collaborazione è ben più feconda della dogmatica contrapposizione.

Per la Cisl l’avventura della partecipazione iniziata il giorno dopo la fine del Congresso del 2022 ha significato una collettiva riscoperta delle nostre origini, dei tratti originali del nostro sindacato. Protagonista della stesura dell’ar ticolo 46, insieme ad Amintore Fanfani, Giovanni Gronchi e Ferdinando Storchi, fu Giulio Pastore, il primo segretario generale della Cisl, che tanto reputava centrale la partecipazione dei lavoratori da inserirla già all’articolo 2 dello Statuto, accanto alla centralità della contrattazione articolata: partecipazione e contrattazione aziendale sono fin dalle origini due dei nostri valori fondanti. Oggi come nel 1950, desideriamo una società in cui lo sviluppo collettivo e l’emancipazione individuale si realizzino attraverso il lavoro, inteso non solo come strumento per procurarsi i mezzi di sostentamento, non come semplice reddito, ma piuttosto come mezzo attraverso il quale ogni persona può crescere e realizzarsi nella comunità ove abita.

Il sindacato non ha bisogno della legge per contrattare soluzioni partecipative. Abbiamo scelto la via della proposta di legge di iniziativa popolare perché la nostra intenzione è quella di accompagnare il Paese in un vero e proprio salto culturale nella concezione del rapporto tra impresa e lavoratori e la strada più significativa per riuscire in questo intento ci è parsa quella dell’attuazione di un principio costituzionale, ove la legge è espressamente richiamata.

Vorremo che le tante pratiche che abbiamo censito non rimangano episodiche, ma possano essere replicate da tutti i datori di lavoro (anche quelli no-profit) godendo di incentivi volti a sostenere questo “cambio di passo” che è prima concettuale che organizzativo. La legge permetterà che questi benefici siano accessibili diffusamente, ma non interferirà in nessun modo con l’autonomia collettiva.

Nella nostra proposta di legge, infatti, nulla è fissato come obbligatorio. Abbiamo previsto che la legge contempli tutte le possibilità di partecipazione perché imprese e sindadisability cati possano disporre di “menù” di soluzioni che saranno da declinarsi per via contrattuale in ogni singola situazione, tenendo conto delle peculiarità del territorio, del settore, della dimensione aziendale, dello stato di salute dell’impresa.

Questo originale “paniere contrattuale” è composto dalla partecipazione gestionale, che regola la collaborazione dei lavoratori alle scelte strategiche dell’impresa mediante la presenza nei consigli di amministrazione o nei consigli di sorveglianza; dalla partecipazione economico-finanziaria, che regola due fattispecie: la distribuzione ai lavoratori degli utili di impresa e la partecipazione azionaria dei dipendenti al capitale della società; dalla partecipazione organizzativa, che concerne la gestione quotidiana dell’impresa e si realizza nell’avvio di commissione paritetiche dedicate ai cosiddetti piani di miglioramento e nella individuazione condivisa di figure interne con responsabilità particolari quali il disability e diversity manager ,

il delegato alla formazione, il delegato al welfare, etc.; dalla partecipazione consultiva, che, superando quanto già garantito dalla legislazione italiana ed europea in materia di “informazione”, prevede meccanismi di vera e propria “consultazione” dei lavoratori e del sindacato quale atto di confronto bilaterale.

La Cisl, con coraggio, ha indicato la direzione perché i grandi cambiamenti in atto nel mondo del lavoro e nell’e conomia tutta non siano supinamente subiti, ma governati.

Una strada scomoda, ne siamo consci, che richiederà competenza e responsabilità a chi sarà chiamato a governare processi che oggi osserva soltanto da fuori. Siamo tuttavia convinti che senza il coinvolgimento dei lavoratori non sarà possibile fronteggiare le situazioni di crisi, ancora presenti, né valorizzare i propri dipendenti e attrarre i talenti migliori (elementi assai importanti in una fase, come quella attuale, di crisi dell’offerta di lavoro).

Anche per tutto questo la Cisl l'11 febbraio darà vita a Roma a una grande assemblea di quadri e delegati sulla partecipazione. E dar forza a un cammino che, anche politicamente, unisca il Paese su un modello di sviluppo nuovo, incentrato su un più forte protagonismo dei lavoratori nelle dinamiche di crescita e redistribuzione della ricchezza.

( 23 gennaio 2025 )

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