Per il segretario generale della Cisl Sbarra ”bisogna rivedere in maniera selettiva i bonus, garantendo i redditi più bassi. Il Governo deve convocare i sindacati dei lavoratori edili e non solo le associazioni professionali, per trovare una soluzione equilibrata che salvaguardi occupazione, risanamento del patrimonio immobiliare, tutela dell'ambiente, politica industriale”. Aggiunge Sbarra: ”Il paradosso è che oggi ci troviamo con molte aziende virtualmente ricche, ma con i cassetti pieni di crediti che rischiano di diventare carta straccia. Il pericolo sui livelli occupazionali è enorme: sono oltre 100 mila posti di lavoro. Si possono scatenare effetti pesanti sulla tenuta occupazionale e di desertificare un patrimonio di professionalità fondamentale per la ripresa del Paese”.
Il leader della Uil Bombardieri annuncia una mobilitazione contro il decreto sul Superbonus e non esclude uno sciopero: ” I soldi sono serviti a ristrutturare le case per tutti, a prescindere se erano condomini o villette; si poteva invece diversificare in base al reddito, con un ragionamento che fosse strutturato negli anni. Ma questa misura è riuscita a far riprendere un settore altamente in crisi subito dopo la pandemia”. Rincara la dose il numero uno della Cgil Landini: ”Il Governo sbaglia e decide senza discutere”.
Per il segretario generale della Filca-Cisl Pelle ”è giunto il momento di sistematizzare questi strumenti economici per dare qualità al costruito; è indispensabile fare in modo che possano svolgere la funzione sociale per cui sono nati. La decisione del Cdm preoccupa i tanti lavoratori occupati grazie ai cantieri avviati”. Da tempo, ricorda Pelle, ”sosteniamo che il bonus 110% non ha riguardato i condomini periferici e le case popolari ad alta densità abitativa: in pratica non ha usufruito dello strumento Superbonus proprio chi aveva più bisogno in termini di sicurezza sismica e sostenibilità energetica e sociale. I miliardi spesi per il Superbonus, se gestiti come investimenti pubblici, avrebbero prodotto molti più benefici. Gli investimenti sull'edilizia popolare possono dare soluzioni per modernizzare le abitazioni delle famiglie meno abbienti, che vivono nelle case popolari, nelle periferie, ma possono anche dare, contemporaneamente, risposte al mondo del lavoro e delle imprese”. Conclude Pelle: ”I bonus dati ai privati, nelle giuste percentuali, sono un investimento per lo Stato e la collettività”.
Da parte sua il segretario generale del Sicet Cisl Esposito sostiene la necessità di ”ricalibrare gli incentivi edilizi per incrementare la dotazione destinata alla riqualificazione del patrimonio abitativo pubblico prevista dal fondo complementare al Pnrr, pari a due miliardi di euro, con l'obiettivo di avviare un programma pluriennale di investimenti per svecchiare e al contempo aumentare l'offerta di edilizia residenziale pubblica”. Per Esposito ”la riqualificazione energetica del patrimonio di edilizia residenziale pubblica è strategica poiché abbina l'obiettivo della riduzione delle emissioni in atmosfera con quello di sostenere i ceti meno abbienti, particolarmente esposti sul fronte della povertà energetica”.
Il decreto, che blocca la cessione dei crediti e dello sconto in fattura dei bonus edilizi, inizierà il suo percorso parlamentare questa settimana alla Camera. Richieste di correttivi sono arrivate da tutte le forze politiche, a partire da Forza Italia che ha chiesto anche la convocazione di un tavolo di maggioranza.
Divise le opposizioni: Terzo Polo e il senatore del Pd Cottarelli condividono il freno posto da Giorgia Meloni. La premier ribadisce: ”Il superbonus è costato 2 mila euro ad ogni italiano, se lo lasciassimo così com'è non avremmo i soldi per fare la finanziaria”. A inizio febbraio in audizione in commissione, il direttore generale delle Finanze del Mef Spalletta aveva indicato in 110 miliardi il costo dei bonus, 37,7 miliardi più delle previsioni. Stima che salirebbe a 120 miliardi con gli ultimi dati. Da qui il costo medio pro-capite citato da Meloni, che attacca pure sulle ”moltissime truffe, per circa 9 miliardi di euro”.
La volontà del Governo è tracciata nel decreto: lo stop alla cessione dei crediti futuri serve proprio a facilitare lo smaltimento di quelli passati. Ma questo non sembra bastare a imprese e banche. Per accelerare lo smaltimento ci sono poi due proposte sul tavolo. La prima è la cartolarizzazione dei crediti, un meccanismo che prevede l'individuazione delle risorse incagliate, la costruzione di ”pacchetti” di crediti da cedere poi sul mercato con società veicolo specializzate. Il problema, in questo caso, è quello dei tempi.
La seconda ipotesi, le compensazioni tra crediti e debiti fiscali, è quella avanzata congiuntamente dall'Abi e dai costruttori dell'Ance, che hanno chiesto al Governo anche di sollecitare l'acquisto di crediti da società pubbliche controllate dallo Stato. L’ipotesi F24 prevede che le banche, che non possono più acquistare nuovi crediti perché hanno esaurito lo spazio di smaltimento fiscale nei prossimi anni, possano scaricare i debiti compensandoli con gli importi dei pagamenti fiscali fatti dai clienti con i modelli F24 ai propri sportelli. Ovviamente questo avrebbe un costo immediato per lo Stato. Ci sarà un confronto con Eurostat: dal 2023 l'ufficio di statistica europeo può infatti chiedere di contabilizzare gli importi direttamente sul debito pubblico. In questo caso i 15 miliardi di crediti incagliati avrebbero un impatto meno traumatico visto che la montagna del debito pubblico italiano tocca già i 2.700 miliardi.
Giampiero Guadagni