Qual è il suo giudizio sui Piani nazionali di qualificazione urbana? In che misura possono essere d'aiuto alla riorganizzazione urbana in senso solidale e sostenibile?
Piani, programmi e risorse come quelle del Pnrr sono ovviamente utili, ma spesso comportano interventi occasionali, sparsi qua e là senza una logica unitaria e senza una visione di medio-lungo periodo. Piuttosto servirebbe una visione d’insieme che, con risorse ordinarie e continue nel tempo, affrontasse seriamente i nodi irrisolti. Nelle città mancano consistenti “investimenti sociali” da attuare mediante progetti mirati e specifici, insieme all’associazionismo locale e alla partecipazione civica, concentrando le risorse su un numero limitato di interventi prioritari e rilevanti.
Lei è autore, insieme e Keti Lelo e Salvatore Monni, del libro “Le mappe della diseguaglianza”. Quali sono le principali diseguaglianze socio-economiche che attraversano Roma?
Roma è una città con forti disuguaglianze e polarizzazioni tra quartieri su varie dimensioni: i tassi di mortalità e le condizioni di salute, i livelli eterogenei di istruzione, occupazione e reddito, le impari opportunità tra donne e uomini nel mercato del lavoro, la scarsità di spazi pubblici lontani dal centro, con poche occasioni di partecipazione civica e interazione sociale, la dispersione dei residenti in aree periferiche isolate e poco dense, dove i servizi pubblici hanno maggiori costi e minore efficacia. Sembrano coesistere almeno due città: una capace di cogliere le opportunità di lavoro, reddito e qualità della vita, e un’altra esclusa dallo sviluppo e pienamente colpita da pandemia e crisi economica.
Tomassi, il dualismo centro-periferia è questione da tempo analizzata ma ancora irrisolta. Come è cambiato nel tempo questo dualismo?
Molti dei problemi delle città, e in particolar modo delle periferie disagiate, dipendono da scelte (o mancate scelte) urbanistiche nei decenni passati, quando il consumo di suolo è dilagato e pochi amministratori si sono preoccupati della sostenibilità ambientale, delle disuguaglianze e dell’efficacia dei servizi pubblici nei nuovi quartieri che venivano costruiti. Però oggi il dualismo rimane solo nei media e nell’immaginario collettivo, poiché nel centro delle città vive ormai una quota minima di residenti, che al contrario abitano in gran parte le tante periferie più o meno lontane. Anzi, il dualismo oggi lo vedo piuttosto tra le periferie più o meno ricche, più o meno verdi, più o meno accessibili col trasporto pubblico, più o meno sicure.
Il vostro lavoro indaga le città attraverso indicatori di dettaglio territoriale: le 155 zone urbanistiche di Roma, gli 88 nuclei di identità locale di Milano, le 94 zone statistiche di Torino, i 30 quartieri di Napoli. Cosa rivela questo confronto molto particolare?
Il dettaglio dei quartieri è importante perché fotografa la realtà più vicina ai cittadini, quella che vivono quotidianamente. Le disuguaglianze territoriali sono evidenti in tutte le grandi città italiane: a Milano il ceto medio e le fasce popolari sono sostanzialmente assenti nelle aree centrali e semicentrali, mentre a Napoli le condizioni di povertà strutturale sono ampiamente diffuse, sebbene qui gli indicatori migliori non siano nel centro storico, quanto nei quartieri collinari occidentali. A Roma e a Milano il centro geografico rappresenta l’attrattore di molte attività urbane e include gran parte dei posti di lavoro, ma la capacità di attrazione è diversa nelle due città: a Roma si sviluppa lungo le strade consolari mentre a Milano si manifesta a cerchi concentrici.
Su quali basi è possibile favorire la rinascita della Capitale e delle altre grandi città italiane?
Servono azioni coerenti e coordinate dei vari livelli di governo, finalizzati a rafforzare i servizi di base, il welfare, la qualità urbana, la vitalità culturale e sociale per i cittadini. Sottolineo “per i cittadini” perché puntare al turismo, spesso “mordi e fuggi”, è persino controproducente non portando vera ricchezza e anzi svuotando le zone centrali dai residenti. Gli “investimenti sociali” di cui parlavo prima sono decisivi per contrastare le numerose e diffuse disuguaglianze che riguardano l’ambiente, la salute, la casa, la scuola, la formazione, l’occupazione, le differenze di genere, gli spazi e i servizi pubblici. Le politiche pubbliche locali possono ridurre l’eterogeneità tra quartieri, favorire la diffusione dei benefici della crescita anche nelle periferie e sostenere le opportunità di sviluppo su tutto il territorio comunale.
Giampiero Guadagni