Era un comandante tedesco. Non era ebreo, ma detestava Hitler. Oggi è ricordato come “Giusto tra le nazioni”. Allora, il 13 maggio 1939, lui era solo Gustav Schröder. L’orrore doveva ancora cominciare, ma in Italia c’erano già state le leggi razziali ed in Germania gli ebrei avevano già perso tutti i diritti. Non restava altro che scappare.
St. Louis, il coraggio di un capitano” graphic novel di Sara Dellabella, giornalista free lance, che scrive per l’ Agi e l’Espresso, racconta attraverso i disegni in bianco e nero di Alessio Lo Manto la storia di una nave piena di ebrei che da Amburgo fa il giro del mondo e sembra non poter approdare in nessun porto. Perché gli ebrei allora non li voleva nessuno. Una storia passata che in Italia ricorda oggi altre navi, cariche di migranti, a cui qualcuno non consente di sbarcare.
102 pagine edite nel 2021 dalla Round Robin editrice, un volume realizzato con il sostegno della Fondazione Museo della Shoah di Roma (la prefazione è di Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica della capitale).
Sicuramente un pregio nella tecnica narrativa salta subito in evidenza: molte tavole sono solo di disegni, senza fumetti. Il lettore, guardandole, sente il silenzio. Il silenzio assordante in cui gli ebrei venivano allontanati dalle case, licenziati, mandati via da scuola, costretti a vendere per poco i loro averi, per non vederseli confiscati o per racimolare i soldi per comprare un biglietto verso l’ignoto. Perché “il noto” era terribile.
I nomi dei protagonisti, fatta eccezione per il capitano, sono di fantasia, come anche le vicende, pur basandosi su una storia vera.
Il transatlantico tedesco St. Louis parte con direzione Cuba. A bordo ci sono 937 ebrei in fuga dal nazismo. E un comandante che fa la differenza.
Perché sulla nave decide il comandante. E se è anche un essere umano, allora può avere la forza di fare le cose giuste anche in una situazione difficile. Se è vero che la bandiera per una nave è quello che la cittadinanza è per una persona, allora in occasione di un funerale un uomo al comando può decidere di usare quella bandiera come lenzuolo funebre per gettare una bara in mare, e liberare simbolicamente l’imbarcazione dal regime nazista.
A Cuba una triste sorpresa attende i profughi: a metà gennaio del 1939, il governo aveva emanato il decreto n° 55 secondo il quale a ciascun «rifugiato», per il visto d’ingresso, avrebbe dovuto versare una somma di 500 dollari. Il ministro dell’immigrazione, Manuel Benitez, decide di sfruttare questa situazione definendo i passeggeri a bordo della St. Louis come turisti e mettendo in vendita dei «permessi di sbarco» per una somma «non ufficiale» di 150 dollari ciascuno. Il presidente cubano Federico Laredo Brú ordina poi di far applicare il decreto n° 937 (correttivo del n° 55) che obbliga, di fatto, al pagamento dei 500 dollari ciascun passeggero della St. Louis. E’ un importo elevatissimo. Riescono a scendere solo 29 passeggeri. Il comandante non intende tornare in Germania per consegnare alla morte oltre novecento persone: fa invece rotta verso Miami, ma il permesso di sbarco viene rifiutato sia dagli Stati Uniti, dove dal 1924 è in vigore l’Immigration Act, che dal Canada.
L’elegante nave è di fatto diventata una prigione. Ma il comandante non si arrende. E finalmente l’aiuto arriva. Da Belgio, Olanda, Gran Bretagna e Francia. I passeggeri sbarcano ad Anversa e sperano nelle Nazioni ospitanti, che li accolgono. 288 vanno nel Regno Unito (tutti sopravvivranno alla Seconda guerra mondiale, tranne uno ucciso durante un raid aereo nel 1940), 181 nei Paesi Bassi, 214 in Belgio e 224 in Francia. Scoppia la seconda guerra mondiale. Più di 250 tra quei passeggeri perderanno comunque la vita nei campi di concentramento.
Ma quel comandante coraggioso, quella nave che non si arrende, quel gesto di accoglienza per chi è disperato suonano come moniti estremamente attuali, ancora oggi.
Sara Dellabella, con i disegni di Alessio Lo Manto, St. Louis, Il Coraggio di un Capitano, Round Robin editrice, Roma, 2021, pp. 102