“La vita accanto”, il nuovo film di Marco Tullio Giordana, doveva dirigerlo Bellocchio, che ne firma la sceneggiatura. Infatti nella vicenda e nei personaggi si ritrova certa claustrofobia de “I pugni in tasca”, che segnò il passaggio dal neorealismo e dalla commedia al cinema d’impegno. Bellocchio vi esordiva con lo sguardo appassionato di chi non vuole “fotografare” bensì suscitare empatia nello spettatore, che parteciparvi attraverso l’autore.
Ebbene, anche in “La vita accanto” Giordana costruisce un dramma familiare dove le coordinate del dolore, della sconfitta e poi dell’affrancamento non restano lassù, sul grande schermo. Affondano invece delle pieghe più recondite di chi assiste ad una rappresentazione catartiche. E il regista, paradossalmente, ottiene tutto questo proprio ricorrendo allo straniamento di Bertolt Brecht, che puntava a sollecitare lo spirito critico del pubblico attraverso una recitazione estrema.
Qui, infatti, le figure della storia si pongono con accentuazioni interpretative talmente stilizzate da far pensare al teatro giapponese No e Kabuki. Così soprattutto per la protagonista, Rebecca, che nasce con un enorme angioma che la condanna alla bruttezza. Per Maria, sua madre, che non sa rifiutare l’innato bisogno di bellezza sepolto in tutti e la rifiuta. Tanto più per Osvaldo, il padre, ed Erminia, sorella gemella di quest’ultimo e apparentemente capace di rompere il cerchio dell’isolamento intorno a Rebecca eppure portatrice di una complicità incestuosa con il fratello. Anche questa di puro stampo bellocchiano.
Le parole del romanzo di Mariapia Veladiano, da cui è tratto il film, diventano così matrici di un copione che nel suo dipanarsi ha esattamente l’apparenza di un copione, non di una narrazione. A questa ha già provveduto il libro. Valore aggiunto: la musica. Non si può descriverla sulla pagina, ma farla ascoltare nel racconto per immagini sì. E Giordana ha a disposizione la superba Sonia Bergamasco, nel ruolo della zia Erminia, artefice del riscatto di Rebecca. La donna, pianista di livello eccelso, incoraggia e potenzia le doti della nipote sulla tastiera dello strumento. Sennonché la stessa Bergamasco è una musicista meravigliosa, inizialmente votata alla carriera armonica. Quindi, la sua recitazione pressoché espressionista è una proiezione dell’altra se stessa, che avrebbe potuto essere.
Direttore d’orchestra, un Marco Tullio Giordana del quale la cinematografia italiana aveva gran bisogno e non può e non deve farne a meno.