Domenica 5 gennaio 2025, ore 20:58

Mostre

L'inizio della fine

di ELISA LATELLA

Una pagella scolastica con nome e cognome e accanto in rosso la dicitura “razza ebraica”. Un registro scolastico, in cui accanto a cognomi di bambini ebrei, c’è scritto “Ha abbandonato la scuola”. Una frase ipocrita. Quei bambini a scuola avrebbero continuato ad andare. Se non ci fossero state le leggi razziali. Se non fossero stati rastrellati insieme a tanti altri il 16 ottobre del 1943. Questi ed altri documenti storici fanno parte della mostra “I sommersi”, allestita fino al 18 febbraio 2024 ai Musei Capitolini di Roma, a cura di Yael Calò e Lia Toaff.

Un’esposizione artistica e documentaristica che nel suo titolo riassume quello che fu il destino di circa mille ebrei deportati nei campi di concentramento durante il rastrellamento della capitale. Sommersi, perché non pensavano che potesse succedere, perché gli ebrei stavano in quel quartiere a Roma fin dai tempi di Nerone, le porte del ghetto si erano aperte con la presa di Porta Pia e la fine del potere temporale dei Papi, e perché da tre generazioni a Roma gli ebrei stavano bene. Il re ne aveva lodato l’operosità, l’antise -mitismo in Italia era pressoché sconosciuto. Fino alle sciagurate leggi razziali del 1938.

L’inizio della fine. La fine che si avvicina con l’arrivo dei tedeschi a Roma. Chiedono agli ebrei a settembre un pagamento di 50 kg d’oro, da racimolare in un giorno e mezzo, come garanzia della loro incolumità. La somma- enorme in tempi di guerra- viene racimolata, con un’eccedenza addirittura. Ma non basta.

In un fonogramma esposto in una teca, diretto al Ministero dell’interno proveniente dalla Questura di Roma, Comando città aperta di Roma, datato 18.10.1943 si legge: “Oggi alle ore 14 è partito dalla Stazione Tiburtina treno DDA con 28 carri di ebrei («mille» circa), fra donne, bambini e uomini diretto al Brennero. Nessun incidente.” La Stazione Tiburtina era meno frequentata, quel treno partendo da lì dava meno nell’occhio. Mille circa. Torneranno in 16. I loro nomi scorrono, bianco su nero, su un telo. Accanto a qualche raro nome c’è scritto sopravvissuto. Implicitamente, si capisce che gli altri non ce l’hanno fatta.

Le opere artistiche di Pio Pullini descrivono senza mezzi termini la cattura degli ebrei nel ghetto: vecchi e bambini trascinati dai soldati, donne caricate su camion verso ignota destinazione. Sono quadri che fanno paura, che esprimono il sentimento della disperazione. Mentre guardiamo queste immagini, la colonna sonora della mostra ci riporta al rumore di quel giorno. Ci furono giornali che tentarono di raccontarlo, che parlarono di Roma sotto il tallone tedesco.

Il 26 ottobre 1943, a dieci giorni dal rastrellamento, l’Unità pubblicò un articolo intitolato “Pogrom a Roma”. Parole coraggiosissime: “La sorte degli ebrei di Roma, sarà la sorte di tutti gli abitanti di Roma, se subiremo inerti e passivi l’estrema violenza dell’invasore”.

Altri oggetti raccontano la dittatura, che inizia a farsi conoscere dai quaderni delle scuole elementari, dove si parla del bravo balilla. Dalla carta alla stoffa: un grembiulino bianco, e poi una divisa di un campo di concentramento di un sopravvissuto: pantaloni e casacca a righe di tela, spaiati. Tela grezza, per difendersi dal gelo e dalla neve di un campo tedesco. E non è tutto. Biglietti scritti a mano, lasciati dai deportati nella speranza che qualcuno li trovasse e avvertisse le famiglie. Telespressi del Ministero degli Affari esteri per avere notizie dei deportati di cui ignorava la sorte. Diari di quei giorni, che ricostruiscono la disperazione, la rabbia, il senso di assoluta impotenza. Perché lo Stato, quello Stato di cui gli ebrei di Roma erano cittadini, quello Stato che avrebbe dovuto proteggerli, li aveva messi su un treno verso ignota destinazione.

Furono sommersi. E questo fatto fu voluto, accettato, o semplicemente ignorato. Le dittature a piccoli passi avevano acquisito un potere enorme. E quelli che seguirono per Roma furono giorni bui, in cui i tedeschi potevano imprigionare, torturare, uccidere. Per questo a distanza di 80 anni, la memoria è sacra. A Roma mancano mille persone all’appello. Anzi, molte di più. Mancano i loro figli, mancano i loro nipoti. Manca tutto ciò che non è stato, tutto ciò che è stato sommerso.

( 11 dicembre 2023 )

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