Cristo è sceso nell'inferno sotterraneo del moralismo ebraico per romperne le porte nel tempo e sigillarle nell'eternità. Ma in questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli.
Questo scriveva nel 1945 Carlo Levi, a seguito del suo confino politico in Basilicata di 10 anni prima. Il suo realismo artistico diventa universale nel romanzo Cristo si è fermato a Eboli, manifesto di una questione meridionale mai estinta. La sua peregrinazione lucana diventa la cifra passionale che darà voce e volto agli ultimi, agli invisibili della Storia. Carlo Levi si spegneva 50 anni fa a Roma, era il 4 gennaio 1975 e volle essere seppellito nella “sua” Aliano, placando le controversie che lo contrastarono nel dire comune, di quei contadini che si videro (ingiustamente) vilipesi da romanzo ormai celebre nel mondo. Levi era nato a Torino il 19 novembre 1902; medico e antifascista della prima ora, fu pittore e scrittore. Tempo fa è stato celebrato a Roma in un convegno su “Valori, utopia e impegno”, quale traccia per una didascalia di autori fondamentali del secolo scorso. Fra i massimi conoscitori di radici meridionali, Levi fu anche uomo di cinema. La memoria ci conduce al film di Francesco Rosi Cristo si è fermato a Eboli del 1979, con uno struggente Gian Maria Volontè, che il regista girò in Lucania, fra Aliano, Grassano e Guardia Perticara, luoghi dove lo scrittore fu confinato. Nella sua attività intellettuale, Carlo Levi contribuì al cinema italiano. Si tratta di due importanti film di cui sono stati eseguiti lavori di restauro: Patatrac diretto da Gennaro Righelli nel 1931 e Il grido della terra di Duilio Coletti, del 1949. Levi apporta la propria visione intellettuale per la componente storica, inerente il problema degli esuli ebrei. Lo sguardo risente della lezione neorealista. Lo scrittore si appassionò al mondo arcaico, ai volti lucani scavati dalla sofferenza, che la penna e il pennello hanno reso immortali. Molte sono le immagini conservate con cura dall’Archivio Audiovisivo Operaio e Democratico, oltre che in molteplici cinegiornali. Infine, una esortazione morale di Levi è contenuta in “Paura della libertà”: Ciò che emerge è una dimensione del vissuto della politica non più come missione, bensì come condizione di sudditanza, come una macchina in cui la personalità e il profilo individuale tendono ad eclissarsi per affermarsi solo come gerarchia di figuranti.