L’ ipotesi sembra alquanto aberrante: reintrodurre la schiavitù con regolare contratto. La proposta apparsa qualche giorno fa su Econopoly, rubrica del Sole 24 Ore, continua a far discutere, soprattutto dopo il caso dei braccialetti di Amazon: dato che, allo stato attuale, esiste già una “schiavitù di fatto”, almeno regoliamola. Reintrodurre la schiavitù è o non è un’opzione per la società moderna? Enrico Verga, ”consulente strategico ed istituzionale”, la spiega in modo semplice, citando ad esempio le partite Iva. Le persone libere, acrobate per indole e amazzoni tra le epoche, potrebbero viverle come segno di libertà nel lavoro. Eppure ne sono schiave. ”Nel virtuoso percorso di emancipazione dell’individuo dall’azienda, vengono cancellati tutti i benefici che un contratto garantiva”. Se assumiamo che gli aspetti negativi dello schiavismo (sfruttamento, incertezza per quanto riguarda il proprio futuro, mancanza di libertà) sono già di fatto presenti in una larga parte della classe lavoratrice, l’autore si domanda se non sarebbe un vantaggio per la comunità e lo stato se le grandi aziende non si facessero carico di un contratto di schiavismo. Dopo tutto la libertà non è per tutti. O no? Ne sa qualcosa di questi tempi la società greca, piombata in quello che lo storico moderato Panagiotis Grigoriou spiega come un disagio molto profondo, di una situazione tragica e devastante per il paese e il suo tessuto sociale, in cui i cittadini non sono più in grado di avere aspettative o obiettivi per il futuro. Senza la gestione dei loro tempi e degli spazi che sono i loro, le società umane perdono la loro capacità di agire, perché non vi è più nessuna proiezione possibile. E’ apatia. Distacco. Guardiamo la Grecia di oggi, in cui l’espropriazione del tempo costruito si ottiene attraverso i diktat messi in calendario a causa delle urgenze di bilancio. Ed ecco come la nuova acronia greca prefigura il mondo di domani, il mondo che attende questa società, le nazioni ed i popoli in Europa sotto l’agenda dell’austerità dettata dalle élites. In America lo schiavismo fu abolito tramite una sanguinosa guerra civile; gli industriali del nord rivendicavano il diritto a garantirsi la manodopera delle piantagioni del sud. Tutta la modernità è stata forgiata attraverso la mobilità della manodopera che oggi si è trasformata, grazie ad esternalizzazioni e robotizzazioni, in volatilità. L’articolo di Verga mette in luce l’ennesima contraddizione del capitalismo, così criticata dal giornalista Maurizio Blondet: ”Il capitale per garantirsi un adeguato profitto sta rimettendo in moto possibilità che la Storia ha definitivamente buttato nel cesto dell’immondizia. L’econo - mia come fede e non come scienza è il necessario sigillo liturgico. Il vero problema, semmai, è la lentezza con la quale l’umanità prende coscienza dei processi sociali”. E qui si può concordare su quanto la politica sia rimasta acritica e distante da quanto stava accadendo intorno a noi, mostrandosi supina a logiche di profitto e bilancio, piuttosto che frenarne le derive sociali. Il rapporto di lavoro schiavistico diventa dunque sviluppo logico e naturale del capitalismo plutocratico. Per Blondet ”il solo argomento che si può usare contro l’intro - duzione della schiavitù quale grandiosa innovazione post-moderna, è ricordare didatticamente che la schiavitù è “ine - fficiente” ed anti-economica; che la disponibilità di manodopera schiavistica nelle antiche plutocrazie ritardò nell’impero romano l’introduzione di nuove tecnologie come i mulini ad acqua e a vento e persino i camini, tutti inventati dal Medioevo cristiano. Come ricorda Thomas E. Woods nel libro ”Come la Chiesa Cattolica ha costruito la civiltà occidentale”proprio la schiavitù era stata disastrosa per l’econo - mia in quanto il mondo dell’ antichità classica, potendo contare su di essa, ”non aveva adottato in alcun grado significativo la meccanizzazione per uso industriale”. Furono la rivoluzione tecnologica e quella industriale del monachesimo cristiano a porre le basi della rinascita agricola, finanziaria e industriale dell’ Europa, dimostrando che il vero progresso stava nello scommettere sull’ingegno umano, anziché sul lavoro schiavistico. Come sempre nella globalizzazione, bisognerà guadagnare alla causa i capitalisti, facendo leva sul discorso del profitto: la liberazione degli schiavi fu la prima vera “esternali - zzazione” di successo, l’espulsione a carico della società delle spese per istruire , curare, formare, tener sani i lavoratori-cittadini. Non ci conviene tornare indietro.