La chiamavano "Galleria delle armi", perché venivano disseminate le armi dai briganti meridionali in lotta contro il neonato stato unitario. In quella galleria, vicino a Balvano, in Basilicata, si è consumato il più grave incidente ferroviario d'Europa. Sono trascorsi ottanta anni da quella notte tra il 2 e 3 marzo del 1944, mentre la guerra incombeva su quelle popolazioni stremate da fame e distruzioni. Quel maledetto treno merci 8017 contribuì a rendere ancora più angosciosa la vita di una comunità oltre ogni immaginabile destino. Morirono più di 500 persone in quella fredda notte nella Galleria delle Armi, subito dopo la stazione di Balvano, in provincia di Potenza. Molti altri furono i dispersi, un numero ancora oggi imprecisato. E nel sonno non si accorsero neppure della tragedia, respirando il monossido di carbonio sprigionato dalle ciminiere delle due locomotive a vapore, che trainavano il lungo convoglio che da Napoli era diretto a Potenza. Si trattò di una tragedia annunciata, benché nel verbale del 9 marzo 1944 del Governo Badoglio si legge testualmente: "La sciagura deve attribuirsi alla pessima qualità del carbone fornito dal Comando Militare alleato perché già si era verificato, sulla stessa tratta, un caso di morte per asfissia del personale di macchina di un treno dell'autorità alleata". Era carbone proveniente dalla Jugoslavia, di quello pessimo che sprigionava poco calore e tanto monossido di carbonio. Sulla linea Napoli-Potenza gli anglo-americani avevano istituito solo due treni alla settimana per i viaggiatori, tutti gli altri erano treni merci che servivano per il trasporto di materiale militare. Il libro di Salvio Esposito "Galleria delle Armi" (Marotta &Cafiero editori) ha riaperto le ferite mai lenite di quella tragedia, le cui responsabilità non sono mai state chiarite del tutto. Esposito, psicoterapeuta prodigo alla scrittura, ne traccia le vicende umane con un romanzo tra invenzione e realtà. Il romanzo storico raccoglie testimonianze e riscrive i profili di gente comune alla ricerca di vivande e mezzi di sopravvivenza, a pochi mesi dalle storiche Quattro Giornate di Napoli. Quel treno serviva alla popolazione per rifornirsi di generi di prima necessità, che scarseggiavano nelle grandi città ed erano reperibili solo nelle zone interne come le campagne lucane. Ma su quel treno c'era anche chi doveva viaggiare, e per assenza di mezzi pubblici era obbligato a salire su quei carri merci. Le cifre del disastro però furono superiori come emerse dagli articoli sul Corriere della Sera e un trafiletto del New York Times. Esposito immagina una serie di personaggi alla ricerca della verità. Tante probabilmente le cause: soprattutto le locomotive alimentate da carbone non idoneo e il sovraccarico di passeggeri, un treno eccessivamente lungo su una salita ferroviaria impervia, la sostituzione della locomotiva elettrica con due macchine a vapore in testa al treno nella stazione di Salerno. Il governo Badoglio bollò quelle vittime come "viaggiatori di frodo" e il silenzio avvolse una delle più grandi tragedie ferroviarie del secolo scorso. Una tragedia seppellita in fretta, come furono seppelliti in fosse comuni i 519 deceduti nel cimitero di Balvano, dopo aver buttato della calce viva su di essi. A quei corpi si poteva dare una sepoltura migliore, in modo tale che i familiari ne potessero far riesumare i resti. Trentasei anni dopo, Balvano ritorna alla cronaca per il terribile sisma del 23 novembre 1980, nel quale il crollo della chiesa seppellì decine di bambini. Nomi come Balvano evocheranno sempre quella pietas arcaica, oltre ogni oblio e gli opportunismi della storia.
Armando Lostaglio